Il fumo che si è alzato il 15 giugno dai depositi di carburante a Teheran e dagli impianti di gas della costa meridionale dell’Iran è il segno che l’energia è diventata la nuova linea del fronte nel conflitto con Israele.
Il settore energetico iraniano, in difficoltà da anni per la mancanza di investimenti stranieri causata delle sanzioni, era un punto debole evidente prima dell’inizio della guerra. Nonostante le riserve di petrolio e gas, tra le più grandi del mondo, c’erano periodicamente interruzioni di corrente, carenze di carburante e problemi nelle esportazioni di gas.
La decisione di Israele di attaccare le infrastrutture energetiche iraniane, colpendo almeno due impianti di trattamento del gas e due depositi di carburante, è stata un azzardo che ha alimentato l’incertezza nei mercati mondiali dell’energia, facendo oscillare il prezzo del petrolio.
Il Brent (una quotazione di riferimento del settore) lunedì è salito del 5,5 per cento, superando i 78 dollari al barile – un livello che non si vedeva da gennaio – per poi scendere appena sopra i 74 dollari.
Il greggio è aumentato di circa il 7 per cento dall’inizio dei combattimenti la scorsa settimana, per il timore di un conflitto allargato in una regione che produce un terzo del petrolio mondiale.
“Per ora l’Iran si è concentrato su Israele”, ha detto Richard Bronze, esperto di analisi geopolitica della società di ricerca Energy aspects. “Ma il mercato teme per le infrastrutture energetiche in tutto il Medio Oriente e per lo stretto di Hormuz”, ha aggiunto, riferendosi al passaggio marittimo attraverso il quale Iran, Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi Uniti esportano un terzo del petrolio e del gas trasportato via mare nel mondo.
Finora, il traffico attraverso lo stretto è proseguito normalmente.
Domenica Israele ha detto di aver colpito dei depositi usati per i rifornimenti civili e militari, cercando di danneggiare le forniture interne dell’Iran più che la sua capacità di esportare petrolio, diretto soprattutto in Cina.
“Globalmente”, secondo Jorge Montepeque della Onyx capital, “le forniture dal Golfo restano le stesse”. Al contrario, diverse fonti hanno riferito che a Teheran ci sono lunghe code alle pompe di benzina mentre la gente cerca di lasciare la città.
Un aumento sostenuto del prezzo del greggio riaccenderebbe i timori d’inflazione, ha detto la ministra delle finanze del Regno Unito, Rachel Reeves, aggiungendo che il governo sta “monitorando la situazione molto da vicino”.
“Chiaramente l’impatto sulla regione mediorientale è enorme, ma lo è per tutti”, ha detto. “Negli ultimi anni abbiamo visto come eventi lontani abbiano conseguenze enormi anche nel Regno Unito”.
Secondo gli analisti, Israele sta ripetendo le tattiche usate in Libano l’anno scorso: omicidi mirati di comandanti militari, distruzione dei sistemi di comunicazione e attacchi aerei a ripetizione contro obiettivi prestabiliti.
“È un piano rischioso, ma il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è convinto che funzioni”, ha dichiarato John Raine, consigliere senior dell’Istituto internazionale di studi strategici di Londra.
Gli attacchi agli impianti energetici iraniani sono una novità, anche se l’obiettivo è sempre lo stesso: colpire infrastrutture di difesa locali e, se possibile, paralizzare il regime e destabilizzare la popolazione e la leadership iraniana. “È anche un avvertimento che niente è intoccabile”, ha aggiunto Raine. “Ma dubito che gli israeliani vogliano prendere di mira l’intera rete elettrica”.
Nel diritto di guerra sono consentiti gli attacchi alle infrastrutture energetiche che riforniscono le installazioni militari, come le dighe idroelettriche della Ruhr distrutte dall’aviazione britannica nella seconda guerra mondiale o gli impianti che alimentavano il centro iraniano di arricchimento nucleare di Natanz, colpiti da Israele venerdì.
Ma il diritto internazionale umanitario vieta gli attacchi agli impianti per usi civili, come quelli che alimentano ospedali e acquedotti. La Corte penale internazionale ha emesso vari mandati d’arresto contro funzionari russi per gli attacchi continui alle infrastrutture energetiche civili ucraine.
E anche contro Netanyahu e l’ex ministro della difesa del suo governo, accusandoli di crimini di guerra e contro l’umanità a Gaza, compreso l’uso della fame come arma di guerra.
Finora l’Iran ha risposto colpendo alcune infrastrutture israeliane. Domenica i gestori di una delle più grandi raffinerie di petrolio di Israele, ad Haifa, hanno detto che i gasdotti e le linee di trasmissione verso il loro complesso erano stati danneggiati, anche se senza vittime.
La Bazan, l’azienda che gestisce la raffineria, ha sospeso le contrattazioni in borsa lunedì mattina vista la situazione d’incertezza.
In passato l’Iran ha dimostrato che, quando si sente minacciato, è pronto ad alzare il livello dello scontro.
Nel 2019, mentre Donald Trump portava avanti la sua politica di “massima pressione” sull’Iran a forza di sanzioni, Teheran è stata accusata di sabotare delle petroliere nel golfo Persico e di un assalto con missili e droni alle infrastrutture petrolifere saudite, che per un certo periodo ha messo fuori uso metà della produzione di greggio del regno.
Di recente l’Iran ha cercato di migliorare i rapporti con i paesi del Golfo, ristabilendo le relazioni diplomatiche con Riyadh nel 2023 grazie alla mediazione della Cina.
Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti stanno cercando attivamente di abbassare la tensione con l’Iran, e allo stesso tempo di favorire un’intesa diplomatica tra la repubblica islamica e l’occidente. Entrambi i paesi arabi, secondo gli analisti, hanno anche rafforzato la difesa delle infrastrutture energetiche.
Sanam Vakil, direttrice per il Medio Oriente del centro studi britannico Chatham House, ha detto che il regime iraniano vorrebbe evitare l’allargamento del conflitto per non “mordere la mano che lo nutre”. Ma potrebbe cambiare idea se dovesse sentirsi “disperato”.
“Vorrebbe tenere tutto sotto controllo e penso che l’obiettivo sia resistere finché è possibile, nell’attesa di trovare una via d’uscita”.
Le forniture di petrolio per ora sono buone, con l’Opec che all’inizio dell’anno ha promesso un aumento significativo della produzione, ma è probabile che gli scambi sul mercato risentano del timore di un’escalation del conflitto, che farebbe salire i prezzi.
“Vedremo sicuramente scelte dettate dalla precauzione”, ha detto Bronze. “Non penso che gli operatori finanziari vogliano ignorare questi rischi”.
Cosa succederà dopo, in particolare nello stretto di Hormuz, è difficile da prevedere, ha aggiunto. “L’Iran non ha mai tentato davvero di bloccare tutto il traffico nello stretto. Sappiamo che ha degli strumenti, ma non li ha usati dai tempi della guerra Iran-Iraq, e sono passati quarant’anni. La tecnologia e i rischi sono molto cambiati da allora”.
Gli autori di questo articolo sono Andrew England, Malcolm Moore, John Paul Rathbone e James Shotter.
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