Nell’ultima settimana molti utenti cinesi erano approdati su Clubhouse, il social network statunitense a cui si accede solo su invito e attraverso cui si può partecipare a discussioni tematiche in diretta audio. Avevano partecipato a dibattiti con utenti di Hong Kong, Taiwan e con alcuni uiguri all’estero su argomenti sensibili che in Cina sono vietati.

L’app, che si può usare solo sull’iPhone, non era disponibile in Cina, ma per scaricarla era sufficiente registrarsi a un Apple store di un altro paese dopo aver pagato per un invito. Sulla piattaforma cinese di commercio online Taobao i codici d’invito erano in vendita a prezzi che in alcuni casi hanno raggiunto l’equivalente di 70 euro. Dalla sera dell’8 febbraio, però, l’app non è più accessibile in Cina.

Dall’Australia, dove vive in esilio, il disegnatore cinese Badiucao ha avuto diverse conversazioni in mandarino su Clubhouse dove, grazie al fatto che si comunica a voce, gli utenti hanno potuto superare la barriera tra caratteri cinesi semplificati (usati nella Cina continentale) e tradizionali (usati a Hong Kong e Taiwan). “Molti utenti sono persone con cui normalmente non potrei interagire su altre piattaforme, e trovare tanta gente in Cina pronta a esprimere le sue opinioni è stato davvero incoraggiante”. Anche se, fa notare Wang Yaqiu di Human rights watch, dato che il social network si può usare solo sui telefoni della Apple, l’accesso era riservato a utenti di livello socioeconomico elevato. “Clubhouse ha dimostrato che in Cina ci sono molte persone di idee progressiste. Gli utenti nazionalisti hanno evitato le discussioni su temi sensibili come la persecuzione degli uiguri nello Xinjiang, i rapporti tra Pechino e Taiwan e la libertà sempre più limitata a Hong Kong”.

Dubbi sulla sicurezza

L’avvocata uigura Rayhan Asat, il cui fratello è stato condannato a 15 anni di carcere, l’8 febbraio è entrata in una “stanza” in cui si parlava della persecuzione degli uiguri in mandarino. Alcuni cinesi sono intervenuti mostrandosi comprensivi verso l’etnia turcofona dello Xinjiang perseguitata dal loro governo. “Quando alcuni utenti cinesi hanno fatto domande inopportune, altri sono intervenuti per difendere gli uiguri, e questo mi ha commossa”, racconta Asat. “Negli ultimi due giorni ho capito che i cinesi han, l’etnia maggioritaria in Cina, e noi uiguri siamo vittime dello stesso sistema. Alcuni ci hanno chiesto come fare per aiutarci, anche se temono di finire a loro volta nei guai”. Se da un lato l’interazione tra gli utenti cinesi e quelli di altri paesi è stata incoraggiante, dall’altro ci sono dei dubbi sulla sicurezza delle tecnologie usate dall’app. Clubhouse chiede agli utenti di registrarsi con un numero di telefono e di condividere la lista dei propri contatti, passaggi che possono comportare gravi rischi. “Il governo di Pechino può facilmente penetrare nella rete di contatti di ciascun utente”, dice Badiucao. “Inoltre, dato che Clubhouse usa la tecnologia audio dell’azienda cinese Agora, bisognerebbe capire se questa cederà o meno alle richieste di collaborazione del governo cinese. Se Agora non potrà rifiutarsi di collaborare, potrebbero sorgere gravi problemi di sicurezza”. Wang Yaqiu di Human rights watch fa l’esempio di Zoom, che l’anno scorso ha bloccato alcuni utenti negli Stati Uniti che volevano organizzare un evento online per commemorare il massacro di piazza Tiananmen. Se le scelte di Clubhouse, che è un software statunitense, in merito agli utenti cinesi dovessero generare polemiche, osserva Wang, l’azienda potrebbe ritrovarsi sotto inchiesta negli Stati Uniti: “Se Clubhouse collaborasse con il governo cinese, danneggerebbe la sua reputazione”. Tuttavia, sia Wang sia Badiucao ritengono molto positiva la comparsa di utenti cinesi sul social network, anche se per poco tempo, perché dimostra che la Cina non è poi così impenetrabile come si potrebbe pensare. Per Badiucao è la prova che molti cinesi conoscono bene il loro paese e sono consapevoli dei dilemmi che hanno di fronte.

Da sapere
La versione di Pechino

◆ Prima che le autorità cinesi l’8 febbraio bloccassero l’accesso a Clubhouse in Cina, il Global Times, un tabloid vicino al Partito comunista, ne aveva parlato nella sua versione in inglese. Il social network di discussioni audio in diretta, spiegava il giornale, è diventato popolare dopo che il 31 gennaio il fondatore della Tesla, Elon Musk, ha partecipato a una conversazione con l’amministratore delegato dell’app finanziaria Robinhood, Vlad Tenev. Secondo il Global Times “Clubhouse non è affatto il paradiso della libertà d’opinione, come dicono molti mezzi d’informazione”. Il quotidiano ha raccolto le testimonianze di alcuni utenti cinesi all’estero che si erano lamentati per le “discussioni a senso unico”, la mancanza di spazio per le voci filocinesi e il fatto che “le affermazioni degli utenti non sono verificate”, per esempio “le dicerie e le accuse senza prove solide nella ‘stanza’ in cui si parlava dello Xinjiang”. Un altro utente aggiungeva: “C’è una forte pressione psicologica su chi la pensa diversamente”.


“Clubhouse è diventata popolare in Asia nell’ultima settimana, dopo che Elon Musk ha cominciato a usarla. Per gli utenti cinesi la comparsa dell’app è stata come sollevare la valvola di una pentola a pressione lasciando che un rumore acutissimo si propagasse in tutto il mondo”, ha spiegato Badiucao. “Clubhouse ha dimostrato che in Cina le cose non filano lisce come Pechino vuol far credere. Nella società cinese ci sono invece risentimento e contraddizioni”. Wang Yaqiu non è stupita del gran numero di utenti cinesi progressisti che si sono manifestati sul social network: “Clubhouse gli ha permesso di uscire allo scoperto”, spiega, “e spero che a Taiwan, a Hong Kong e nel resto del mondo capiscano che queste persone ci sono sempre state e che non avevano la possibilità di esprimersi pubblicamente su alcune questioni per timore dei rischi che avrebbero corso”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1396 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati