Nel dedalo di laboratori tessili della zona industriale del Macrolotto, alcune insegne colorate inneggiano all’eleganza italiana. Le scritte Rainbow Moda, Feeling, Dolce Vita e Best One illuminano le facciate di decine di capannoni stracolmi di camicette, giacche e abiti estivi. Le scritte in mandarino ricordano che qui, in questo sobborgo di Prato, in Toscana, il più grande polo industriale tessile d’Europa è nelle mani di proprietari cinesi.

Macchine da cucire e camion per le consegne non si fermano mai in questa zona, dove il dogma della produzione just in time (si produce solo quando è necessario) convive con un altro principio: la discrezione. Però qui la tranquillità si è persa. Negli ultimi mesi incendi dolosi, accoltellamenti e intimidazioni hanno trasformato questa zona industriale in una vasta scena del crimine.

Un regalo all’ingresso: una bara di legno con sopra la fotografia di un uomo

Nel regno della moda a basso costo si sta consumando uno scontro mafioso che ha anche un soprannome cucito su misura: la “guerra delle grucce”. “Prato sta affrontando un numero di reati mai visto prima e i conflitti tra gruppi criminali fanno pensare alla violenza dei corleonesi di Toto Riina nella Sicilia degli anni ottanta”, afferma il procuratore della città Luca Tescaroli, interrotto in continuazione da telefonate urgenti e rinvii a giudizio da firmare nel suo ufficio al palazzo di giustizia.

La teiera spaccata sulla testa

“La mafia cinese è stata sottovalutata troppo a lungo e ora, da Prato, c’è il rischio concreto che si espanda”, prosegue Tescaroli, un magistrato esperto che ha lavorato alla procura antimafia di Firenze. La sua attuale giurisdizione ha caratteristiche uniche. La comunità cinese a Prato (cinquantamila persone di cui circa quindicimila in situazione irregolare, su un totale di duecentomila abitanti) è la seconda d’Europa, dopo Parigi. Le piccole e medie imprese cinesi nel settore dell’abbigliamento sono cinquemila, con una portata commerciale internazionale.

Come suggerisce il museo civico, le origini del tessile pratese risalgono alle corporazioni del medioevo, epoca d’oro di questa città operaia ora inghiottita dalla periferia fiorentina. La storia del Macrolotto ci riporta agli anni novanta, con le prime ondate migratorie da Wenzhou, nel sudest della Cina, e l’appropriazione del made in Italy da parte di questa diaspora molto organizzata, nota per la sua capacità di fare affari nel più totale isolamento. Per gli ultimi capitoli delle vicende criminali, tuttavia, bisogna tornare alla notte del 6 luglio 2024.

Al Number one, un bar frequentato da persone che contano nel settore tessile, sei uomini circondano un cliente e lo aggrediscono. Gli spaccano una teiera di vetro in testa, lo picchiano e lo pugnalano con dei coltelli. Poi abbandonano l’aggredito, Chang Meng Zhang, 43 anni, dietro il bancone.

Dopo diverse settimane di ricovero in ospedale sopravvive “miracolosamente”, secondo gli investigatori. Chang Meng Zhang era stato a sua volta condannato per l’omicidio di un connazionale avvenuto in provincia di Napoli nel marzo 2006. Non è solo un boss della malavita cinese, è il direttore di un’azienda che produce appendiabiti per un settore i cui profitti illeciti, derivanti dalla contraffazione, in Toscana sono superiori a 1,2 miliardi di euro all’anno, secondo un rapporto dell’Istituto regionale per la programmazione economica pubblicato nel dicembre 2024.

Spedizioni punitive

Stando alle indagini, la causa principale dell’escalation criminale deriva da un rimescolamento delle carte nella logistica. L’obiettivo è mantenere un accordo sulle tariffe di spedizione, sotto forma di cartello. Di solito qui le controversie commerciali vengono risolte in modo discreto. Ma ora la tensione è tale che le spedizioni punitive stanno aumentando, a volte con un certo gusto per la teatralità.

Il 1 ottobre 2024 alle 23.28 alcuni uomini con il volto coperto sono entrati in un albergo vicino ai laboratori tessili. Hanno lasciato un ingombrante regalo all’ingresso: una bara di legno con sopra la fotografia di un uomo. Mentre andavano via hanno dato fuoco alla sua auto nel parcheggio. L’uomo preso di mira non era un novellino. Gestiva un’azienda tessile e si dice fosse coinvolto in un giro di sfruttamento della prostituzione, un altro settore controllato dai gruppi criminali locali, insieme al gioco d’azzardo e al traffico di rifiuti.

Il 14 aprile la guerra delle grucce si è spostata a Roma. Due persone che camminavano fianco a fianco sono state uccise con colpi alla testa sparati da una pistola calibro 9. Non ci sono testimoni, nonostante il duplice omicidio sia avvenuto in un quartiere molto frequentato. Il nome di una delle due persone uccise riporta alla guerra del settore tessile di Prato. Zhang Dayong era il braccio destro di Zhang Naizong, detto uomo nero, l’ex capo della rete logistica. “Qui in Toscana il capoclan è venerato come un dio”, aveva dichiarato nel 2019 Federico Cafiero De Raho, all’epoca procuratore nazionale antimafia.

Le aggressioni non hanno preso di mira solo le persone, ma anche il tesoro di questo settore, cioè grucce e vestiti: il 12 febbraio in tre incendi a Prato che non hanno provocato vittime; il 28 febbraio in un pacco esploso in un centro logistico di Fuenlabrada, a sud di Madrid; l’11 marzo in un altro carico bruciato ad Aulnay-sous-Bois, in Francia, nel magazzino di un’azienda che aveva rapporti commerciali con alcune ditte di Prato.

In Toscana il settore della moda a basso costo è cresciuto con i giganteschi invii di tessuti tramite container in transito soprattutto nel porto greco del Pireo, che dal 2016 appartiene alla Cosco, un’impresa statale cinese. I container poi arrivano in Italia nel porto di Gioia Tauro, rifugio della ’ndrangheta. Dopo che il prodotto è stato lavorato a Prato e rivenduto in altre parti d’Europa, i profitti tornano in Cina attraverso movimenti segreti di contanti, trasferimenti di criptovalute e conti offshore difficili da tracciare. “I metodi criminali sfruttano appieno il settore della moda a basso prezzo”, spiega Enrico Blandini, comandante provinciale della guardia di finanza. “Le aziende che chiudono dopo pochi mesi per riaprire con un’altra ragione sociale usano tessuti contrabbandati in Italia senza pagare l’iva o ricorrono alla contraffazione del made in Italy, che spesso richiede semplicemente di cucire un’etichetta”.

Opporsi ai capi

A metà giugno la guardia di finanza ha scoperto più di tre milioni di capi di abbigliamento contraffatti, oltre a macchinari in grado di produrre 85mila giacche in un giorno. Un sistema fraudolento basato su un altro pilastro: lo sfruttamento del lavoro. In questa calda mattinata di fine giugno un curioso gruppo di ciclisti con i gilet gialli si aggira tra i capannoni di una zona industriale nel nordovest della città. È un gruppo di una ventina di operai, tutti pachistani e srilanchesi, venuti a fare un picchetto davanti all’ingresso di una fabbrica di abbigliamento italo-albanese, accusata di non pagare regolarmente. La direttrice ha urlato, poi si è barricata nei suoi uffici, mentre un caporeparto si è precipitato a proteggere la merce.

“A Prato gli immigrati lavorano dodici o tredici ore al giorno, sette giorni su sette, 365 giorni all’anno, un sistema medievale che possiamo definire schiavitù”, afferma Riccardo Tamborrino, responsabile del sindacato Sudd Cobas, impegnato nella difesa dei lavoratori del tessile. “Il sistema oggi somiglia a quello di una piazza di spaccio, ma con i vestiti al posto della droga”, prosegue, ammettendo di avere difficoltà a mobilitare i lavoratori cinesi, molti dei quali sono in balìa dei loro datori di lavoro, che gli sequestrano i documenti di identità e li costringono a dormire nei laboratori. Recentemente un’indagine ha dimostrato che le sarte erano costrette a lavorare con una piccola telecamera sulla testa, così da poter monitorare da remoto la loro produttività in tempo reale.

Ali Zain, 25 anni, arrivato a Prato dal Pakistan tre anni fa, è uno dei pochi che tiene testa ai datori di lavoro. Lo incontriamo in un vicolo del centro città dopo il tramonto, di ritorno dalla sua giornata di lavoro in una tintoria industriale. “I padroni qui non ci parlano, se diamo fastidio ci bastonano. Un giorno, per un filo tagliato male, sono stato colpito alla testa. Ma quando sono andato dal figlio del mio capo e in inglese gli ho detto che avrei chiamato la polizia le cose sono migliorate”, spiega. Nell’ottobre 2024 uno sciopero è stato interrotto a colpi di spranghe di ferro.

La procura di Prato ha raccolto 76 testimonianze di lavoratori e ha formato una task force specializzata su questa mafia del tessile. Inoltre, sei imprenditori che negli ultimi mesi sono stati minacciati o aggrediti hanno deciso di parlare in cambio di protezione. Tra loro c’è Chang Meng Zhang, sopravvissuto “miracolosamente” all’aggressione del Number one. Le loro rivelazioni e le intercettazioni raccolte dalla polizia raccontano anche di un’affinità con le mafie italiane, di coesistenza interessata o addirittura di collaborazione commerciale, “in particolare quando si tratta di riciclare i proventi della droga”, spiega il procuratore di Prato, che si sta battendo affinché la sua città abbia una direzione antimafia, come la maggior parte dei capoluoghi di provincia italiani.

Nonostante abbiano delle strutture organizzative diverse, i gruppi criminali cinesi di Prato reggono il confronto con quelli italiani non solo nell’uso della violenza e nella capacità di destreggiarsi nei traffici illeciti, ma anche per quanto riguarda l’accesso alla pubblica amministrazione.

La sindaca si dimette

Il 13 giugno, nell’ambito delle indagini sul settore tessile, i carabinieri del nucleo speciale di Firenze non hanno raggiunto il Macrolotto, ma due indirizzi più centrali: la casa di Riccardo Matteini Bresci, imprenditore tessile ed ex gran maestro di una loggia massonica, e l’ufficio di Ilaria Bugetti, sindaca di Prato.

Secondo gli inquirenti, la sindaca avrebbe favorito gli interessi dell’influente “gran maestro” in cambio di finanziamenti elettorali e voti. “È una mia creatura”, “è un mio strumento”, si vantava l’imprenditore riferendosi alla sindaca nel corso di una conversazione telefonica intercettata dai carabinieri. Bugetti, che nega le accuse, si è dimessa il 20 giugno. La gestione del comune di Prato è stata affidata a un commissario prefettizio nominato l’11 luglio. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1623 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati