Il mese scorso un alto funzionario del ministero dell’istruzione cinese si è rivolto a più di un centinaio tra colleghi e accademici durante un evento a porte chiuse per discutere del centenario della fondazione del Partito comunista cinese (Pcc), celebrato il 1 luglio. Wang Binglin ha tenuto una lezione su temi controversi come l’intransigenza del partito nell’imporre la sua versione della storia da quando Mao Zedong prese il potere 72 anni fa. In particolare, ha avvertito gli studiosi presenti di fare attenzione quando parlano o scrivono della violenta campagna di ridistribuzione delle terre condotta dal Pcc all’inizio degli anni cinquanta, durante la quale si calcola che morirono fino a due milioni di persone. “Enfatizzarlo è nichilismo storico”, ha detto Wang riferendosi all’attacco contro i proprietari terrieri e riprendendo l’espressione usata dal presidente Xi Jinping per criticare chiunque si allontani dalla narrazione storica ufficiale del partito. Ha poi sottolineato che alcune informazioni conservate negli archivi nazionali cinesi saranno considerate riservate e vietate per sempre: “Rendere pubbliche queste informazioni non è utile per voi storici e nuocerebbe al partito. Studiando questo periodo, vi schierereste dalla parte sbagliata. Ecco perché vietiamo lo studio e la pubblicazione di questi materiali. Lo stesso vale per Il diario di Wuhan di Fang Fang”. Nel resoconto della scrittrice di Wuhan sull’emergenza covid-19 nella sua città nel 2020, i funzionari del governo sono messi sotto accusa per i loro iniziali tentativi di nascondere l’epidemia. “Non diventerete dei bravi ricercatori se non seguirete il partito”, ha concluso Wang.
Fonte d’ispirazione
Il misto di paternalismo e sicurezza implicito nelle osservazioni di Wang quando afferma che ciò che è bene per il partito è bene per la Cina offre una sintesi perfetta del paese sotto la guida di Xi Jinping. A 68 anni, Xi Jinping è al potere già da nove e, avendo abolito tre anni fa il limite di mandati per la carica di presidente, è improbabile che lasci il suo posto prima del 2028, o addirittura prima del 2033. La questione più rilevante che incombe sul ventesimo congresso del partito che si terrà nel 2022 è se Xi, attualmente segretario generale del Pcc, riporterà in vita e assumerà il titolo di presidente del partito già appartenuto a Mao.
Agli occhi dei suoi ammiratori Xi Jinping è l’uomo giusto al momento giusto, pronto a guidare il partito e la Cina in una “nuova era” che vedrà il paese emergere come la più grande economia del mondo, superando gli Stati Uniti, oltre che come potenza militare e tecnologica di primo piano. “Il Pcc ha subìto numerose battute d’arresto”, dice David Wang, studioso che vive a Pechino. Il riferimento è a traumi che vanno dalla carestia della fine degli anni cinquanta alla rivoluzione culturale degli anni 1966-1976, in cui morirono decine di milioni di persone, alla sanguinosa repressione delle proteste per la democrazia a Pechino nel 1989. “Alla fine, però, ha conquistato la Cina e sta trasformando il paese in una potenza globale. Questo è fonte d’ispirazione. Sono entrato nel partito perché non c’è nessun’altra forza politica che potrebbe rendere la Cina migliore di quella che è”, aggiunge Wang, che ha ottenuto un dottorato negli Stati Uniti e si è iscritto al Pcc dopo essere rientrato nel suo paese qualche anno fa. “Tanto negli Stati Uniti quanto in Cina le persone comuni sono masse che hanno bisogno di essere guidate. Mediamente i cinesi non sono pronti per la democrazia in stile occidentale e devono essere guidati. Negli Stati Uniti chiunque può avere un’opinione e non si riesce a fare nulla. La Cina dovrebbe seguire un percorso diverso”.
Altri temono che il rafforzamento del Pcc nell’ultimo decennio grazie a Xi Jinping, sintetizzato dalla sua famosa affermazione “nord, sud, est, ovest e centro, il partito è a capo di tutto”, potrebbe accelerare la sua stessa distruzione a causa di un processo di fossilizzazione dall’alto verso il basso che genera apatia e cinismo tra i suoi 92 milioni di iscritti. “Il controllo del partito permea ogni aspetto della vita”, dice Wu Qiang, ex docente dell’università Tsinghua di Pechino e importante critico del Pcc. “Non ci sono voci diverse né all’interno del partito né fuori. Mancano quindi i pesi e i contrappesi. Piccoli errori possono diventare errori enormi e mettere in pericolo il partito”.
Xi è un “principino”, figlio di un padre che ha ricoperto importanti incarichi nel Pcc e nel governo con Mao e Deng Xiaoping, l’architetto del programma di “riforma e apertura” della Cina che ha trasformato il paese in una potenza economica. In Cina sono pochi quelli che osano criticare apertamente Xi Jinping. Le loro critiche però hanno un tema ricorrente. Sostengono che i risultati ottenuti dal presidente impallidiscono davanti a quelli ottenuti da Mao e Deng, entrambi guerriglieri incalliti che hanno rispettivamente vinto una rivoluzione politica e inaugurato una rivoluzione economica. Invece Xi si considera un loro pari, il terzo leader “trasformazionale” della Cina moderna che non deve seguire le stesse regole dei suoi immediati predecessori, Hu Jintao e Jiang Zemin. Così facendo, aggiunge chi lo critica, rischia di distruggere le fondamenta del successo economico ottenuto dalla Cina negli ultimi quarant’anni.
Lo statuto del partito richiede agli iscritti di essere pronti a “sacrificare tutto”
Anche Deng credeva nella supremazia del Pcc. Ordinò all’Esercito popolare di liberazione di reprimere le proteste del 1989 a piazza Tiananmen perché temeva che la capacità del partito di controllare il potere fosse in pericolo. Ha però anche promosso e istituzionalizzato norme pensate per assicurare che il Pcc non strangolasse l’economia, come una maggiore autonomia per i funzionari locali e regionali, un’etica da “leadership collettiva” e il limite di due mandati alla presidenza, in seguito abolito da Xi. “I principini come Xi Jinping lo considerano uno di loro, uno che appartiene alla loro stessa classe”, afferma Willy La, esperto di politica cinese e docente alla Chinese university di Hong Kong. “Non riescono a mandare giù il fatto che questo tizio con cui sono cresciuti sia oggi il nuovo Mao Zedong, abbia negato completamente l’importante conquista di Deng sulla successione ordinata al potere e riportato in vita il culto della personalità sul modello di Mao”.
Autonomia ridotta
In un paesino vicino a Wuhan il segretario locale del Pcc dice che l’attuale tendenza verso una crescente centralizzazione del potere è cominciata in un momento ben preciso: con il 18° congresso del partito, nell’ottobre 2012, che ha incoronato Xi Jinping segretario generale. A marzo del 2013 Xi avrebbe assunto anche la presidenza. “Il processo decisionale dall’alto verso il basso è responsabile dell’indifferenza politica”, afferma il segretario locale di partito, che ha chiesto di non essere identificato. “Ora il nostro lavoro è eseguire compiti assegnati da organizzazioni interne al Pcc di livello più alto, che raramente prestano ascolto ai membri comuni. Anche se sappiamo bene quello che la gente pensa, è difficile per noi riferire della situazione ai nostri capi, e meno che mai influenzarne le decisioni. Prima del 18° congresso gli abitanti dei centri più piccoli avevano una certa libertà di partecipare alla cosa pubblica”, aggiunge. “Da quanto Xi Jinping è presidente l’autonomia del nostro villaggio si è drasticamente ridotta perché le autorità temono che possa alimentare l’instabilità sociale”.
A Pechino, un consigliere del governo centrale è schietto – e impudente – riguardo ai cambiamenti. “La democrazia di base”, dice, “crea più problemi di quanti ne risolva”. Wu, lo studioso di Tsinghua, non è d’accordo; dice che “sotto Xi i funzionari sono diventati degli opportunisti e hanno paura di esprimere la loro opinione: tutti ripetono solo la propaganda del partito e i discorsi del leader. I funzionari locali avevano più iniziativa per innovare e rischiare in nome dello sviluppo economico”, aggiunge. “Ora seguono i funzionari di livello superiore. Sono tutti trattenuti, quindi non fanno nulla. L’effetto di tutto questo è lo stesso: non c’è un meccanismo di autocorrezione nel sistema”.
I recenti progressi del presidente degli Stati Uniti Joe Biden nel convincere gli alleati del G7 e della Nato a formare un “fronte unito” che sfidi Pechino ha fatto arrabbiare i funzionari cinesi, la cui fiducia nella superiorità del loro sistema rispetto a quello statunitense è stata rafforzata sia dalla tumultuosa presidenza di Donald Trump sia dall’incapacità delle nazioni occidentali di proteggere i loro cittadini dalla pandemia di covid-19.
“Se la Nato vuole espandersi nella regione dell’Asia e Pacifico, si accomodi pure”, dice Victor Gao, ex traduttore di Deng Xiaoping e diplomatico cinese. “La Cina è qui da cinquemila anni e ci resterà per altri cinquemila. Resterà salda indipendentemente da quello che farà la Nato. Biden dice che l’America è tornata”, aggiunge Gao. “Ma tra quattro anni potrebbe tornare Trump, giusto?”.
Paul Haenle, ex responsabile per la Cina del National security council con George W. Bush e Barack Obama e direttore del Carnegie-Tsinghua center di Pechino, concorda nel dire che “l’incertezza sul futuro della democrazia statunitense e la possibilità di un ritorno del trumpismo” imporranno agli alleati degli Stati Uniti una certa cautela nell’affrontare la Cina troppo apertamente. Aggiunge però che difficilmente il giudizio negativo sulla Cina di molti paesi occidentali potrà cambiare se Pechino non ammetterà che le sue azioni, oltre alla sua diplomazia, sono le principali responsabili del deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti e l’Unione europea.
La “fiducia del partito si sta trasformando in arroganza”, avverte Richard McGregor, autore del libro The party: the secret world of China’s comunist rulers. “La grande forza della Cina dev’essere l’autocritica”, aggiunge. “Non se ne vede più. C’è un certo trionfalismo. Non c’è una via oltre Xi Jinping. E questo è pericoloso”.
Per decenni il partito ha definito se stesso come l’unica organizzazione politica “incondizionatamente” al servizio del popolo cinese. Per completare questa missione rivoluzionaria, lo statuto del partito richiede agli iscritti di essere pronti a “sacrificare tutto”. Con Xi Jinping c’è stata una forte spinta a mettere in atto questa ideologia. I membri del partito, a partire da quelli che lavorano per il governo e per le aziende di proprietà dello stato, devono indossare delle spillette sul posto di lavoro che gli ricordino costantemente qual è il loro dovere e li identifichino come lavoratori modello a cui gli altri possono rivolgersi se hanno bisogno.
Una campagna simile è in corso nelle zone rurali, dove le famiglie vengono classificate – e si vedono assegnati dei compiti – in base all’adesione o meno al Pcc di qualcuno dei loro componenti. A Xinshiji, un paesino nei pressi dello snodo manifatturiero di Yiwu, nella provincia orientale dello Zhejiang, ogni casa ha una placca sulla porta che indica se lì abita un iscritto al partito.
1921 A Shanghai si tiene il primo congresso del Partito comunista cinese. Presenti una decina di delegati, tra cui Mao Zedong.
1934 Nella lotta per il potere, i nazionalisti del Kuomintang hanno la meglio e costringono l’armata rossa a una serie di lunghe ritirate, ricordate poi come “lunga marcia”, fino alla provincia dello Shaanxi, che sarà la base dei comunisti fino al 1947. Nel 1935 Mao diventa leader del Pcc.
1949 L’occupazione giapponese in Cina, cominciata nel 1937, è terminata con la fine della seconda guerra mondiale, lasciando campo alla ripresa dello scontro tra nazionalisti e comunisti. Il 1 ottobre i comunisti vittoriosi proclamano la Repubblica popolare cinese.
1958 Il grande balzo in avanti, il tentativo di industrializzare rapidamente la Cina, causa una carestia con quasi 40 milioni di morti.
1965 Per rinsaldare il suo potere ed eliminare i rivali Mao lancia la rivoluzione culturale, una campagna di dieci anni contro i “riformisti”.
1971 Muore Mao. Nel Pcc prevale l’ala riformista, che nel 1978, con Deng Xiaoping, promuove una serie di misure per aprire il paese all’economia di mercato.
1989 Nella repressione delle proteste di piazza Tiananmen da parte dell’esercito muoiono migliaia di persone.
2001 La Cina entra nell’Organizzazione mondiale del commercio.
2012 Xi Jinping diventa segretario del Pcc e l’anno dopo presidente della repubblica.
2018 La Cina abolisce i limiti al mandato del presidente.
Le famiglie degli iscritti devono essere dei modelli in cinque ambiti che vanno dall’adesione ad “alti standard etici” all’aiuto a “far crescere l’economia locale”. Al contrario, l’unica cosa richiesta alle famiglie in cui non ci sono membri del Pcc è riciclare la spazzatura in modo adeguato. “Contiamo sugli iscritti al partito per costruire un villaggio più prospero”, dice un funzionario di Xinshiji.
Il partito però fa fatica a reclutare persone disposte ad anteporre l’interesse pubblico al proprio. Decine di studi accademici dimostrano che chi s’iscrive al Pcc lo fa per interesse personale. Secondo un sondaggio condotto dai ricercatori della facoltà di economia e legge dell’università Zhongnan di Wuhan, su 1885 membri del partito in età universitaria, la motivazione a iscriversi più ricorrente è la possibilità di fare carriera, poiché un numero crescente di datori di lavoro, a partire dai dirigenti dei dipartimenti del governo e delle aziende di stato, oggi dicono che preferiscono assumere persone del partito. “Non avevo nessuna intenzione di iscrivermi. Poi tutti i posti di lavoro a cui aspiravo hanno cominciato a richiedere la tessera del Pcc”, dice Tina Hu, un’impiegata di Pechino che vorrebbe lavorare per un ente governativo. Hu ha chiesto di entrare nel partito due anni fa e spera di completare la procedura “prima possibile” così potrà dare una svolta alla sua carriera.
Nelle zone rurali i proprietari di piccole imprese, dalle aziende agroalimentari alle fabbriche, hanno sostituito i contadini come candidati ideali a essere ammessi nel partito. “Ci aspettiamo che i nuovi iscritti portino l’intero villaggio alla prosperità”, dice il segretario del Pcc del piccolo centro vicino a Wuhan. “In cambio gli offriamo vantaggi come l’accesso facilitato ai prestiti o contratti con il governo”.
“Il Pcc non è più il partito degli operai e dei contadini”, aggiunge McGregor. “È un partito di manager e uomini d’affari”. Dei 2,1 milioni di nuovi iscritti reclutati dal partito nel 2018, meno di 5.700 erano lavoratori migranti, arrivati nelle città dalle zone rurali, anche se costituiscono più di un terzo della popolazione in età produttiva del paese.
Senza attirare l’attenzione
Questa tensione all’interno dell’apparato di partito – diventato sempre più potente sotto la guida di Xi Jinping, ma che al tempo stesso ammette l’utilità di uomini d’affari competenti per alimentare la crescita economica che lo tiene al potere – è emersa con grande evidenza nei tentativi di imbrigliare giganti tecnologici del settore privato come Alibaba e Ant Group di Jack Ma o la Tencent di Pony Ma. “A Jack Ma non accadrà niente di male”, afferma un alto funzionario del governo di Pechino. “Ha dato dei contributi importanti all’economia ed è ancora molto rispettato. Ha reso un grande servizio al popolo e al paese. La lezione in questo caso è che in Cina conviene non attirare l’attenzione”.
Wang, lo studioso iscritto al partito, ritiene che nel giro di “trenta o quarant’anni” il Pcc potrà finalmente preoccuparsi meno di quello che chiunque dice o fa. “A quel punto spero che la gente possa avere più libertà di scegliere in cosa preferisce credere”. ◆ gim
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1416 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati