Il 20 gennaio la procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di quattro ufficiali dei servizi di sicurezza egiziani sospettati di aver avuto un ruolo nella scomparsa e nell’omicidio di Giulio Regeni al Cairo. A cinque anni dalla morte di Regeni, la vicenda approda finalmente in un’aula di tribunale.
Lo studente aveva 28 anni e stava facendo un dottorato, quando il 25 gennaio del 2016 è scomparso mentre si trovava al Cairo per una ricerca sui sindacati egiziani. Il suo corpo è stato trovato nove giorni dopo sul ciglio di una strada alla periferia della capitale, con evidenti segni di torture e violenze.
La procura di Roma ha accusato il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Uhsam Helmi, e il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif di “sequestro di persona aggravato”, precisando che Sharif dovrebbe essere incriminato anche per “concorso in omicidio aggravato”. Il processo si svolgerà senza gli accusati. Lo stato egiziano, infatti, si rifiuta di riconoscere l’azione giudiziaria italiana e di consentire l’estradizione dei quattro sospetti. La prima udienza preliminare è stata rinviata al 25 maggio perché uno degli avvocati d’ufficio della difesa è in quarantena a causa del covid-19.
Il procedimento appena cominciato è il culmine di cinque anni di indagini sulla morte di Regeni, una rara occasione in cui le forze di sicurezza egiziane dovranno rispondere del loro operato. Nelle prossime settimane un giudice valuterà se mandare a processo gli imputati accusati di torture e di aver avuto un ruolo nell’omicidio.
La notizia del processo è stata accolta con soddisfazione dalla famiglia Regeni, dai suoi avvocati e dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani che hanno indagato sui ripetuti abusi delle forze di sicurezza egiziane. Alcuni osservatori hanno sottolineato che le autorità italiane dovrebbero esercitare una maggiore pressione sull’Egitto per ottenere l’estradizione degli ufficiali sospettati.
I genitori di Regeni, Paola e Claudio, hanno pubblicato un appello congiunto attraverso la loro avvocata, Alessandra Ballerini, invitando tutti i potenziali testimoni a collaborare. “Molte altre persone si stanno facendo avanti (…), il tempo e la coscienza (…) sono ottimi alleati. Chiediamo con rinnovata e consapevole speranza a tutti quelli che hanno notizie o ricordi utili di farsi avanti e parlare. Noi garantiremo la sicurezza e la segretezza dell’identità di chiunque ci contatterà, così come abbiamo fatto finora. Ancora una volta vi chiediamo: aiutateci ad avere giustizia, per Giulio e per noi tutti”.
◆ Il 28 aprile 2021 è stato pubblicato su YouTube un video di poco meno di un’ora presentato come “il primo documentario” che cerca di indagare sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso al Cairo nel gennaio del 2016. Il video, in arabo con sottotitoli in italiano, si intitola The story of Regeni. È un tentativo di screditarlo e di scagionare il regime egiziano da ogni responsabilità per la sua morte, usando insinuazioni, invenzioni propagandistiche e teorie del complotto già in buona parte smentite. Il video, di cui non si conoscono gli autori, contiene interviste ad alcune personalità italiane, tra cui l’ex ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri e l’ex ministra della difesa Elisabetta Trenta. Quasi tutti gli intervistati italiani, dopo la pubblicazione del documentario, si sono dissociati dal suo contenuto. Il 30 aprile il video è stato rimosso e la pagina Facebook The Story of Regeni è stata chiusa. Il Post
Un fatto senza precedenti
Il 14 aprile la procura di Roma ha fatto sapere che tre nuovi testimoni hanno accusato i quattro ufficiali dei servizi di sicurezza di aver torturato e ucciso lo studente italiano. Uno dei testimoni avrebbe rivelato alla procura che i quattro avevano “inscenato una rapina finita male” per cercare di nascondere il fatto che Regeni era stato torturato e ucciso. I testimoni, ritenuti attendibili dalla procura, sostengono che Regeni sia stato rapito da alcuni agenti dell’Agenzia egiziana per la sicurezza nazionale (Nsa) il 25 gennaio 2016, per poi essere trasferito in almeno due strutture dei servizi nell’arco di poche ore.
Le autorità egiziane hanno negato qualsiasi coinvolgimento nell’omicidio. Il pubblico ministero egiziano incaricato dell’indagine ha ufficialmente chiuso il caso l’anno scorso, dichiarando che le tesi italiane sul coinvolgimento degli ufficiali “non raggiungono il livello di prove”.
“Il fatto che alcuni ufficiali dell’Nsa siano stati rinviati a giudizio e saranno processati in un tribunale non ha precedenti”, spiega Hussein Baoumi, ricercatore di Amnesty international specializzato in questioni egiziane. “La tortura è molto diffusa in Egitto. Tutti sanno che l’Nsa usa la tortura ed è responsabile di sequestri di persona e omicidi. Ma non era mai successo che un ufficiale fosse indagato e processato. Certo, il processo si svolgerà in contumacia, ma invia comunque un messaggio forte: non si può sfuggire per sempre alla giustizia”.
I quattro ufficiali sospettati sono ancora tutti in servizio. Di recente Saber è stato promosso. “Questo significa che sono nella posizione di commettere altri crimini simili”, sottolinea Baoumi.
L’anno scorso la Commissione egiziana per i diritti e le libertà, i cui avvocati sono anche i rappresentanti legali della famiglia Regeni in Egitto, ha comunicato che dal 2015 almeno 2.653 persone sono state “rapite” dalle forze di sicurezza e in particolare dall’Nsa. “L’Nsa ha potuto commettere liberamente diversi abusi, senza alcun controllo”, ha sottolineato la commissione. Inizialmente la morte di Regeni ha incrinato i rapporti tra l’Italia e l’Egitto, e Roma ha ritirato il proprio ambasciatore dal Cairo in segno di protesta. In seguito, però, il diplomatico è tornato nella capitale egiziana. Non si sono registrati cambiamenti nei rapporti commerciali. Pochi giorni dopo il rinvio a giudizio dei quattro sospettati, l’Italia ha consegnato le prime due fregate alla marina egiziana nell’ambito di un accordo commerciale da 1,2 miliardi di euro.
Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, tra queste anche Amnesty international e Human rights watch, hanno invitato le autorità italiane a contrastare i tentativi dell’Egitto di proteggere i suoi ufficiali. “Il processo è un passo incoraggiante, ma gli ufficiali sfuggiranno alla giustizia se le autorità egiziane non li consegneranno all’Italia o non li processeranno in Egitto. E chiaramente non vogliono farlo”, sottolinea Baoumi . ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1408 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati