Tra i caffè letterari e le boutique di Saint-Germain-des-Prés, storico quartiere di Parigi, un uomo dall’aria smaliziata cammina portandosi dietro un pacco di giornali, mentre il suo tipico “Ça y est!” (È fatta) risuona tra le strade strette. Ali Akbar, nato a Rawalpindi, in Pakistan, è un uomo sorridente che da cinquant’anni vende giornali per strada. A volte condisce la sua offerta con storie inventate. “Ça y est! La guerra è finita e Putin chiede scusa!” è stata una delle ultime trovate, che ha suscitato risate a denti stretti tra i passanti.

Dal Café de Flore alla Brasserie Lipp, due ritrovi parigini in cui la cucina e la cultura si mescolano, Akbar porta avanti un mestiere in via di estinzione, vendendo un prodotto in eterna crisi. Oggi è considerato l’ultimo strillone di Francia.

La professione di Akbar aveva raggiunto l’apice proprio negli anni sessanta a Parigi, dove l’attrice Jean Seberg fu immortalata mentre portava dei giornali sottobraccio urlando “New York Herald Tribune!” sugli Champs-Élysées rincorsa da Jean-Paul Belmondo. In Fino all’ultimo respiro, il film di Jean-Luc Godard, nessuno compra il Tribune a parte Belmondo, infelice perché il giornale non ha un oroscopo e ancora più per l’inefficacia del suo fascino su Seberg, ennesima straniera innamorata di Parigi che cerca di guadagnarsi da vivere come può.

Akbar rientra nella stessa tradizione. Con perseveranza e buon umore, negli anni è diventato “parte del tessuto culturale di Parigi”, osserva David-Hervé Boutin, imprenditore del mondo dell’arte.

Akbar è così popolare che di recente il presidente francese Emmanuel Macron ha deciso di premiarlo con la legion d’onore, il più alto ordine di merito della repubblica, che gli sarà consegnato al palazzo dell’Eliseo.

“Forse mi aiuterà a ottenere un passaporto francese”, dice Akbar. Dopo una vita piena di difficoltà, oggi ha una visione inevitabilmente fosca dell’esistenza. Ha un permesso di soggiorno, ma la sua pratica per la cittadinanza è annegata nella burocrazia francese.

Akbar si muove con grande agilità. A 72 anni è ancora pieno di energia. Macina chilometri al giorno vendendo Le Monde, Les Échos e altri quotidiani, da mezzogiorno a mezzanotte. Contrario al digitale, è diventato un creatore di relazioni umane in un quartiere un tempo adorato da Sartre e Hemingway e oggi inondato di turisti.

“Come stai, caro Ali?”, gli chiede in un pomeriggio di metà luglio la psicoterapeuta Véronique Voss entrando nel Café Fleurus, vicino al Jardin du Luxembourg. “Ieri ero preoccupata per te, perché faceva molto caldo”. Ma l’afa non ostacola Akbar, che ha visto di peggio. Ringrazia Voss con un sorriso e si toglie il cappello blu con la scritta Le Monde. “Quando non hai niente, prendi quello che puoi”, mi spiega. “Io non avevo nulla”.

La tappa successiva del giro di Akbar è un bar italiano, dove Jean-Philippe Bouyer, stilista che ha lavorato per Dior, lo saluta calorosamente. “Ali è indispensabile”, sottolinea Bouyer. “Emana qualcosa di molto positivo e raro nella nostra epoca. Ha mantenuto l’animo di un bambino”.

Biografia

1953 Nasce a Rawalpindi, in Pakistan.
1971 Lascia il paese per cercare fortuna in Europa, ma è costretto a tornare in Pakistan per problemi con il visto.
1973 Si trasferisce a Parigi.
1974 Comincia a vendere i giornali per strada.
agosto 2025 Il presidente francese Emmanuel Macron annuncia di volerlo nominare cavaliere della legion d’onore.


Una casa con il giardino

Nato nel 1953 in una famiglia con dieci figli, due dei quali sono morti in tenera età, Akbar è cresciuto a Rawalpindi, in Pakistan, tra povertà estrema e fogne a cielo aperto. Mangiava scarti e dormiva in una stanza con altre quattro persone. Quando ha compiuto dodici anni ha lasciato la scuola e ha cominciato a fare lavori saltuari. Nel frattempo ha imparato a leggere da autodidatta. “Non volevo indossare per sempre vestiti che puzzavano di miseria”, spiega. “Ho sempre sognato di regalare a mia madre una casa con il giardino”.

Per migliorare le sue condizioni, però, doveva partire. E così a diciotto anni si è procurato un passaporto. Dell’Europa conosceva solo la torre Eiffel e i tulipani olandesi. È andato in autobus a Kabul, in Afghanistan, dove negli anni settanta spopolavano gli hippy occidentali. Dall’Afghanistan si è spostato in Iran.

Ad Atene ha vagato in cerca di lavoro, fino a quando un imprenditore ha notato il suo entusiasmo e gli ha offerto un impiego su una nave. A bordo puliva il pavimento della cucina e lavava i piatti, ricevendo nel frattempo gli insulti dei colleghi perché, da musulmano, si rifiutava di bere alcol.

A Shanghai ha deciso di abbandonare la nave. Dopo una breve sosta a Rawalpindi, ha ripreso la via dell’Europa. La convinzione che la madre meritasse una vita migliore gli ha permesso di sopportare ogni umiliazione.

I problemi di visto in Grecia e l’espulsione dal paese l’hanno costretto a tornare in Pakistan per la seconda volta. La sua famiglia lo considerava folle, ma Akbar non voleva arrendersi. Dopo appena due anni si è ritrovato a Rouen, in Francia. Nel 1973 ha lasciato il suo impiego in un ristorante e si è trasferito a Parigi.

Nella capitale Akbar ha dormito sotto i ponti e negli scantinati. Racconta che nell’occasione in cui ha perso la verginità ha scoperto l’espressione francese “Ça y est!”, che poi sarebbe diventata il suo marchio di fabbrica. In Borgogna, dove ha trascorso un paio di mesi raccogliendo cetrioli, ha ceduto alla carne di maiale e al vino, alimenti proibiti dall’islam.

Nel 1974 ha trovato la sua vocazione quando ha incontrato uno studente argentino che vendeva giornali per strada. Gli ha chiesto come avrebbe potuto fare lo stesso lavoro e presto si è ritrovato per le strade di Parigi, portandosi dietro un mucchio di copie della rivista satirica Charlie Hebdo. Gli piaceva camminare e parlare con la gente. Anche se i guadagni erano minimi, riusciva a tirare avanti.

Da allora sono passati 51 anni, e Akbar non ha cambiato strada. Saint-Germain-des-Prés è il quartiere degli intellettuali, degli attori e dei politici, dunque Akbar ha avuto l’occasione di socializzare con la gente che conta. Nel corso degli anni ha conosciuto un po’ tutti, da François Mitterrand a Bill Clinton, dall’attrice e cantante Jane Birkin allo scrittore Bernard-Henri Lévy. Nonostante queste frequentazioni non si è montato la testa, rimane un uomo modesto dai modi accattivanti. Il giornale che va di più, Le Monde, lo acquista in un chiosco a 1,70 euro e lo rivende a circa il doppio. Ogni giorno guadagna più o meno sessanta euro e raramente si prende una giornata di pausa. In Francia la lettura dei giornali è ancora un’abitudine piuttosto diffusa. A volte alcuni amici comprano due o tre copie e gli lasciano dieci euro, o gli offrono il pranzo. Non ha una pensione, ma se la cava. Ora sua madre ha una casa con il giardino a Rawalpindi.

Akbar ha avuto cinque figli da una donna pachistana sposata in un matrimonio combinato negli anni ottanta. Uno dei figli ha un disturbo dello spettro autistico, un altro ha problemi di salute. Un sesto figlio è nato morto. La vita non è stata facile per lui. “Per questo cerco di far ridere la gente”, spiega. È grato alla Francia. La considera una terra generosa che ha garantito l’istruzione ai suoi figli. Tuttavia è convinto che a causa del colore della sua pelle non sarà mai “completamente accettato”. Nel suo libro autobiografico, pubblicato nel 2009, ha scritto: “Faccio ridere la gente, ma il mondo mi fa piangere”.

Gli chiedo quali altri giornali abbia venduto nel corso degli anni. Quando mi risponde “Paris Metro in inglese” rimango sbalordito. La mia carriera di giornalista è cominciata nel 1976 proprio con un pezzo per Paris Metro, testata che non esiste più dal 1978.

Oggi Akbar è ancora in movimento. Lo perdi di vista per un secondo e sparisce, ma poi senti subito la sua voce “È fatta! Marine sposa Jordi”, un riferimento alla leader dell’estrema destra Marine Le Pen e al suo giovane delfino Jordan Bardella.

Sono passati quasi cinquant’anni dal mio esordio sulle pagine di Paris Metro, e di sicuro non avrei mai immaginato di ritrovarmi a Saint-Germain-des-Prés insieme a uno strillone di Rawalpindi che un tempo ha venduto le mie parole e da allora ha dedicato la sua vita a rinfrancare i passanti in un angolo di Parigi. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati