Con una popolazione di diverse origini ed etnie, il Brasile è da tempo considerato uno dei paesi con la maggiore varietà genetica al mondo. Ora il più vasto studio genomico dei suoi abitanti sta facendo chiarezza sullo sviluppo di questa diversità e spiega come secoli di colonizzazione, migrazioni e dinamiche sociali abbiano influito sulla biologia e sulla salute del paese.

“Mi fa molto piacere che in America Latina continuino a uscire studi come questi”, dice Andrés Moreno Estrada, genetista del Centro di ricerca e studi avanzati dell’Instituto politécnico nacional del Messico, che non ha preso parte allo studio. “Queste mappe genomiche sono utilissime per indirizzare e progettare i futuri studi sulla medicina personalizzata”.

Angelo Monne

Mentre ricerche precedenti avevano esaminato popolazioni specifiche sparse in tutto il paese, l’ultima analisi, avviata nel 2019, punta a includere le comunità sottorappresentate negli studi genomici nazionali e internazionali, soprattutto quelle di origini afrobrasiliane e indigene. Coordinati da Tábita Hünemeier, genetista dell’università di São Paulo, i ricercatori hanno raccolto ed esaminato i genomi completi di 2.111 partecipanti sani di cinque studi effettuati in varie zone del paese, più 318 campioni prelevati da persone afrobrasiliane che partecipavano a un trial sulla malattia renale cronica a Porto Alegre. Inoltre, usando una nave laboratorio hanno prelevato 294 campioni dalle comunità di origine indigena che vivono lungo i fiumi Madeira e Purus, in Amazzonia. “Nei dati la variante europea è ancora sovrarappresentata”, dice Moreno Estrada. “Includere le informazioni di una regione amazzonica è molto significativo”.

Il Brasile è il paese con la più grande popolazione di recente commistione genetica, vale a dire che gli antenati dei suoi abitanti sono arrivati da più continenti nell’arco delle ultime decine di generazioni. La sua attuale popolazione di oltre duecento milioni di persone è stata plasmata dalla forte riduzione del numero degli indigeni, dall’arrivo di almeno cinque milioni di africani durante il periodo della schiavitù, tra gli anni quaranta del cinquecento e gli anni sessanta dell’ottocento, e dall’insediamento di circa cinque milioni di coloni europei. Più di recente, l’immigrazione dall’Asia e dal Medio Oriente ha aggiunto nuove tessere a questo mosaico.

Tramite i marcatori genetici tipici di ogni etnia i ricercatori hanno scoperto che circa il 59 per cento dei brasiliani ha origini europee, il 27 per cento africane e il 13 per cento amerindie, una proporzione molto diversa da quella rilevata in altri paesi latinoamericani. Da uno studio effettuato a Città del Messico, per esempio, è emerso che la popolazione è per il 66 per cento di origine indigena, per il 31 per cento europea e per il 3 per cento africana.

L’analisi del team ha anche ricostruito l’andamento della commistione genetica tra gruppi diversi negli ultimi 250 anni, scoprendo che il picco è stato raggiunto tra il settecento e l’ottocento, un’epoca segnata dalla corsa all’oro e ai diamanti durante la quale gli europei migrarono in massa in Brasile. Nello stesso periodo aumentò il numero dei discendenti degli africani portati dagli schiavisti a lavorare nelle piantagioni del paese. Nel frattempo il numero degli indigeni crollò a causa di malattie, guerre e spostamenti forzati.

Un antidoto al razzismo

Nel 1888, dopo l’abolizione della schiavitù, il governo brasiliano incoraggiò gli europei, provenienti soprattutto da Italia, Spagna, Germania e Portogallo, a trasferirsi per “sbiancare” il paese e impedire alla popolazione nera di diventare la maggioranza. Secondo i ricercatori le tracce di questo evento sono emerse anche dallo studio: è un periodo in cui compaiono più antenati provenienti da quei paesi.

Inoltre i risultati testimoniano la coercizione sessuale imposta dagli uomini europei in epoca coloniale, tra il cinquecento e l’ottocento: il 71 per cento dei cromosomi Y, trasmessi dai maschi, proveniva da persone di origine europea, mentre il 42 e il 35 per cento del dna mitocondriale, trasmesso dalle donne, derivava rispettivamente da afrodiscendenti e indigene.

Per Celia Mariana Barbosa de Souza, genetista dell’Hospital de clínicas di Porto Alegre che ha coordinato la raccolta dei campioni afrobrasiliani, far luce su questa storia scomoda è un atto di antirazzismo scientifico e un antidoto all’eugenetica usata per giustificare la discriminazione nei confronti dei popoli neri e indigeni.

Secondo la coautrice dello studio Putira Sacuena, bioantropologa dell’Università federale del Pará e appartenente al popolo indigeno barè, a causa di anni e anni di razzismo sistemico oggi la maggioranza dei brasiliani non conosce o nega le proprie origini etniche.

Lo studio ha individuato più di 8,7 milioni di varianti genetiche sconosciute tipiche dei brasiliani. Più di 36mila sono ritenute “potenzialmente dannose” e potrebbero avere un ruolo in diverse patologie. Non sono distribuite in modo uniforme, e le varianti rare e potenzialmente pericolose sono legate soprattutto alle origini africane. I ricercatori hanno poi scoperto migliaia di varianti che causano la perdita di funzionalità di geni importanti, alcuni dei quali associati a colesterolo alto, obesità, malaria e tubercolosi.

Certi geni sembrano essere stati modificati dalla selezione naturale, sia prima sia dopo la commistione delle popolazioni. Sono collegati a caratteri che incidono su fertilità, immunità e metabolismo. I risultati dello studio sono “di estrema importanza” per la prevenzione e per favorire l’accesso alle cure delle comunità emarginate, commenta Barbosa de Souza. A lei interessa conoscere il modo in cui una variante genetica di origine africana che protegge dalla malattia del sonno causata dal parassita _ Trypanosoma brucei_ sia anche collegata all’aumento del rischio di malattia renale cronica nei brasiliani neri.

Questo studio è il primo risultato del progetto Dna do Brasil, finanziato dai ministeri della salute e della scienza, che punta a sequenziare il genoma completo di centomila brasiliani entro il 2030 per migliorare la medicina di precisione. “Ed è solo l’inizio”, dice la dottoressa Iscia Lopes-Cendes, genetista dell’università di Campinas che non ha preso parte allo studio. Nei prossimi anni, via via che i genomi saranno sequenziati e messi a disposizione della comunità scientifica, lei e altri colleghi si aspettano di scoprire nuove varianti genetiche importanti per la salute. “L’obiettivo è usare le informazioni per fornire cure mediche a tutti, senza escludere nessuno”. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1615 di Internazionale, a pagina 109. Compra questo numero | Abbonati