Non so se Saltatempo sia il primo libro che ho recensito, ma è sicuramente il primo libro che ho consigliato a tutti, a qualsiasi amica o compagna di scuola. Di Saltatempo ricordo ancora l’incipit folgorante – “Quand’ero molto piccolo ho visto un Dio” – con il protagonista Lupetto che attraversa, dagli anni cinquanta, l’Italia del boom economico, mentre la natura perde ettari a favore di un’urbanizzazione feroce. Ricordo, soprattutto, il tempo che scorre inesorabile: Lupetto cambia e cresce in un paese che somiglia ai paesini di tutti noi, con un bar, una scuola, gli arricchiti e gli ultimi. Il suo orologio di fuori, che scorre, e con cui vive il sessantotto, la televisione a colori, l’arrivo dell’autostrada; il suo orologio di dentro, l’orobiliogio, che gira e lo porta avanti e indietro, dove le lancette non segnano un tempo qualsiasi, ma il tempo che ha valore. Di recente ho sentito qualcuno dire che l’adolescenza è in qualche modo scomparsa perché oggi non ci sono più i telefilm, i film e i libri di culto che segnavano quella fase per le generazioni passate, e oggi invece si passa dall’infanzia all’età adulta, senza un periodo di sperimentazione e di comprensione di se stessi. Saltatempo, come del resto tutti gli altri romanzi di Stefano Benni, ha accompagnato la mia adolescenza: sono stati i libri che più mi hanno formata, che ancora conservo vicino al cuore. ◆
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati