Il 2 dicembre il parlamento sudcoreano ha approvato un cospicuo innalzamento del tetto all’emissione di titoli di stato in valuta straniera destinati a un fondo per la stabilizzazione monetaria. Il limite, che nel 2025 era stato fissato a 3,5 miliardi di dollari, l’anno prossimo arriverà a cinque miliardi. In genere l’obiettivo di misure simili è accumulare valuta straniera pregiata per intervenire in caso di eccessiva svalutazione della moneta nazionale, il won nel caso della Corea del Sud: in sostanza si vendono dollari, yen o euro in cambio di won. L’innalzamento approvato pochi giorni fa, quindi, potrebbe significare che il governo di Seoul si aspetta tempi duri, visto che quest’anno il won è stata la valuta con le prestazioni peggiori in Asia nei confronti del dollaro statunitense: dalla fine di giugno ha perso l’8 per cento verso il biglietto verde.
Un problema legato alla debolezza del won è la dipendenza dei sudcoreani – soprattutto i più giovani – dalle scommesse in borsa. La febbre per il trading si traduce in forti afflussi di capitale verso il mercato finanziario statunitense, contribuendo alla svalutazione del won. Quest’anno i piccoli risparmiatori sudcoreani hanno comprato trenta miliardi di dollari di azioni statunitensi, quasi il triplo rispetto al 2024; alla fine di novembre possedevano nel complesso azioni statunitensi per 160 miliardi di dollari, quattro volte di più rispetto al 2020.
Rhee Chang-yong, il governatore della Banca di Corea, si chiede se i giovani sudcoreani comprendano i rischi che corrono esponendosi in questo modo verso una valuta straniera. Il ministro delle finanze Koo Yun-cheol ha ipotizzato l’intervento del fondo pensioni statale, il terzo più grande del mondo, per stabilizzare il won attraverso la vendita di titoli in dollari o in altre valute pregiate.
Tutto questo avviene in un paese dove nel 2025 la borsa di Seoul ha guadagnato più del 50 per cento e dove su una popolazione complessiva di quasi 52 milioni di abitanti ci sono quattordici milioni di piccoli investitori individuali – soprannominati non a caso “esercito di formiche” – che puntano senza timore sugli strumenti speculativi più rischiosi, comprese le criptovalute. Grazie alle app di trading, che permettono di investire in borsa in modo semplicissimo dal telefono, le formiche sudcoreane stanno cercando di sfruttare al massimo il boom dei mercati finanziari innescato dall’intelligenza artificiale e non esitano a prendere capitali in prestito.
I sudcoreani sono stati protagonisti dell’ascesa dei titoli più sopravvalutati in borsa. Una posizione rischiosa, perché se l’andamento dei mercati dovesse cambiare all’improvviso (cosa da non escludere vista la probabile esplosione della bolla dell’intelligenza artificiale), molti sudcoreani potrebbero finire sul lastrico. E la distruzione di tanti risparmi finirebbe per mettere a serio rischio l’intero sistema finanziario nazionale e di conseguenza l’economia del paese asiatico.
Elementi destabilizzanti
La febbre per le scommesse in borsa non è riconducibile semplicemente a una soglia di percezione del pericolo particolarmente elevata o alla scarsa conoscenza dei rischi valutari legati agli investimenti all’estero, come sostiene il governatore della banca centrale. C’è un altro fatto: il tentativo di mettere insieme nel più breve tempo possibile un patrimonio cospicuo con cui sopravvivere in una società brutalmente competitiva e sempre più disuguale, una società in cui per un giovane sudcoreano è quanto mai proibitivo, per esempio, comprarsi un appartamento o anche prenderlo in affitto da solo nelle città.
Di recente, tra l’altro, per cercare di frenare lo sviluppo di una bolla sul mercato immobiliare, il governo di Seoul ha approvato delle misure che rendono più difficile la concessione dei mutui, ma di fatto ha provocato anche un ulteriore aumento degli affitti. Alcuni giovani sudcoreani sono arrivati a lasciare il posto di lavoro per puntare l’intera liquidazione nelle azioni e nelle criptovalute. Intanto nel paese aumentano i servizi di assistenza psicologica per chi viene travolto dalla dipendenza dalle scommesse in borsa.
Un altro elemento destabilizzante è l’accordo commerciale concluso a ottobre dal governo di Seoul con Donald Trump per far scendere dal 25 al 15 per cento i dazi introdotti dalla Casa Bianca sulle importazioni di automobili dalla Corea del Sud. Come ha già fatto con altri paesi (vedi Svizzera e Giappone), Trump ha usato la minaccia dei dazi per assicurare al governo statunitense un’enorme quantità di investimenti stranieri: una vera e propria estorsione, che nel caso della Corea del Sud prevede il versamento di 350 miliardi di dollari: duecento miliardi direttamente in investimenti negli Stati Uniti (e gestiti in prima persona da Trump), con un limite massimo di venti miliardi all’anno e i profitti divisi a metà tra i due paesi fino al recupero dell’investimento iniziale (successivamente il 90 per cento andrà a Washington e il 10 per cento a Seoul); gli altri 150 miliardi finanzieranno un consorzio tra Stati Uniti e Corea del Sud nel settore della cantieristica navale.
I termini dell’accordo indicano chiaramente che nei prossimi anni la Corea del Sud assisterà a un forte deflusso di dollari, un’ulteriore seria minaccia per la stabilità del won. Attualmente le riserve sudcoreane in valuta straniera per gli interventi sul mercato monetario ammontano a circa 430 miliardi di dollari, una cifra che potrebbe rivelarsi esigua se si pensa che entro il 2029, cioè entro la fine del mandato di Trump, il paese asiatico dovrà versare agli Stati Uniti almeno duecento miliardi di dollari.
Questo articolo è tratto dalla newsletter Economica.
|
Iscriviti a Economica |
La newsletter su economia e lavoro. A cura di Alessandro Lubello. Ogni venerdì.
|
| Iscriviti |
|
Iscriviti a Economica
|
|
La newsletter su economia e lavoro. A cura di Alessandro Lubello. Ogni venerdì.
|
| Iscriviti |
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it