◆ Il 4 dicembre il motore del cuore di Antonio Mellino si è spento nella sua piazza G. B. Vico, nel centro di Napoli. Quando lo incontrai la prima vota nel 1999, mentre rientrava da un mercato abbagliato da una sua vecchia lambretta che stava davanti all’ingresso di casa, mi disse: “Venitemi a trovare. Sono il motociclista più famoso di Napoli”. E così nel suo antro stracolmo, sfogliando vecchi giornali rilegati, tra il crepitio dei vinili dei fratelli La Bionda appresi la sua storia. La folla montava di nottata in nottata, nelle notti d’agosto del 1970. Aspettavano ’o pazzo . Agostino, come Giacomo Agostini. Si affollavano intorno alla piazza e lui non li deludeva. Usciva dai vicoli, passava in impennata con la sua Gilera 125, beffava le forze dell’ordine come uno Zorro su due ruote. Gli rubava la paletta dalle mani e spariva. Dava gas alla maniglia e si sentiva libero. La sua era la ribellione al niente. Non c’era una causa sociale. Tutti erano in sciopero e lui dava più speranza di Berlinguer. La sua impennata era una bandiera. La sua ruota alzata era il pugno chiuso. La sua marmitta L’internazionale , Che Guevara. Era Keith Richards e Mick Jagger nei quartieri spagnoli. Il suo assolo era apparire all’una di notte come un messia. Finire su tutti i giornali, sui telegiornali, e non essere mai preso. Fino alla fine del gas. Agostino per sempre. La città più anarchica d’Europa avvoltagli attorno come un sipario.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1644 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati



