Monica Pareschi
Inverness
Polidoro, 174 pagine, 15 euro

A dieci anni dal suo esordio, Monica Pareschi, scrittrice e traduttrice, torna alla narrativa con una raccolta di racconti, finalista al premio Campiello. Questa antologia narra la sgradevolezza del corpo, l’appassire delle relazioni e lo fa con un linguaggio plastico e interstiziale. Una lingua precisissima e suggestiva nella sua capacità di recuperare la memoria olfattiva e tattile per costruire una sensazione di fastidio: “La nonna, gonfia e nera come uno scarafaggio rovesciato, il sibilo sinistro che esce dalla bocca allentata, il gusto del mangiare che certo le salirà in gola, il tanfo di vecchio che fiorisce sotto lo strato di borotalco e colonia”. Pareschi dosa un italiano ricco a una sintassi breve, a un lessico ordinario, eppure affilatissimo che si sofferma sulle minuzie, e così pare in perfetto controllo della scrittura. Il risultato è è uno stile che non impasta la bocca ed esplora relazioni che si corrodono in incontri fatali o mancati, e storie con un tono più nostalgico, ma ugualmente tagliente. Succede nel racconto fiori, dove un mazzo di peonie bianche è la distrazione della carne dall’invincibilità dei sentimenti; accade nell’ultimo racconto che è la cifra per rileggere, a ritroso, tutti gli altri. È una lettura in cui s’incontrano i personaggi in momenti inafferrabili, le protagoniste si protendono verso gli altri come penisole, ma alla fine si rassegnano al proprio essere isole. Inverness è un piccolo gioiello.

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Questo articolo è uscito sul numero 1624 di Internazionale, a pagina 79. Compra questo numero | Abbonati