Nella prima settimana della campagna “Sedici giorni di attivismo contro la violenza di genere”, lanciata dalle Nazioni Unite tra il 25 novembre e il 10 dicembre, sulle prime pagine dei giornali in Libia sono finiti gli omicidi di tre donne. L’influencer Khansa al Mujahid è stata uccisa a colpi di arma da fuoco mentre era alla guida della sua auto, appena fuori la capitale Tripoli. A Misurata la ginecologa Amani Hajja è stata assassinata da alcuni familiari, mentre il cadavere di una donna è stato ritrovato in un bacino a sudest di Tripoli.

Al Siddiq al Sour, procuratore generale di Tripoli, ha chiesto indagini urgenti e trasparenti. Ma Asma Khalifa, tra le fondatrici del centro studi femminista Movimento per le donne tamazigh, dice di non avere fiducia nel successo delle inchieste e nel fatto che i colpevoli saranno assicurati alla giustizia. “La Libia non ha leggi che proteggano le donne, e anche se ci fossero la polizia non sarebbe in grado di farle rispettare”, sostiene. “Le donne libiche non sono al sicuro se non c’è l’obbligo di rispondere dei propri crimini”.

Il tentativo di adottare una norma che riconosca tutte le forme di violenza contro le donne – fisica, sessuale, psicologica, economica e digitale – è fermo dal novembre 2023. Il 25 dicembre, annunciando l’inizio della campagna, la rappresentante speciale dell’Onu per la Libia, Hanna Tetteh, ha ribadito la necessità di questa norma: “È urgente che il disegno di legge sulla protezione delle donne dalla violenza sia adottato: è un provvedimento fondamentale, messo a punto da esperti libici”.

“La violenza contro le donne non è una novità né nasce dal nulla”, spiega Ali Omar, direttore dell’ong Libya crimes watch, con sede nel Regno Unito. “Il tasso di violenze è alto da anni”. Molti reati però non sono denunciati, spiega: “Le vittime restano in silenzio perché hanno paura dei loro aguzzini, delle pressioni culturali, dello stigma e delle giustificazioni sociali o religiose”.

Spesso è quasi impossibile ottenere dati affidabili, continua Omar, perché non ci sono statistiche ufficiali, visto che il paese non ha un governo unitario dai tempi della caduta del dittatore Muammar Gheddafi nel 2011 e da allora è diviso tra due autorità rivali.

Non sposare un miliziano

Secondo Asma Khalifa, i casi di violenza vengono denunciati raramente anche a causa della grande influenza esercitata dai gruppi armati. Nel vuoto di potere libico, le donne si ritrovano in mezzo agli intrighi politici e alle aggressioni delle milizie. E capita che scelgano di sposare “qualcuno che gode di una certa influenza in un gruppo armato, nella convinzione che questo possa rendergli la vita un po’ più facile”, osserva Khalifa.

Tuttavia, lei sa per esperienza che le donne così si ritrovano ancora più esposte alle violenze. “Dal 2020, quando ho cominciato a monitorare le notizie sulle donne uccise, ho notato che questi crimini avvengono soprattutto in casa, per mano di mariti che appartengono a milizie o che in passato hanno combattuto in guerra subendo un qualche tipo di trauma”, dice l’attivista.

In Libia è molto comune che si tengano armi in casa, osserva. Spiega inoltre che per un’ampia parte della popolazione la violenza domestica è ancora qualcosa di tollerato e che non c’è particolare sensibilità al tema.

Forse però le cose stanno cambiando. Alla fine di novembre alcune donne libiche hanno lanciato una campagna online chiamata “Non sposare un miliziano”. L’hanno fatto in risposta a una dichiarazione di Imad Trabelsi, il ministro dell’interno del governo di unità nazionale di Tripoli: in seguito all’uccisione di Khansa al Mujahid, Trabelsi aveva dichiarato che in quel caso la polizia non poteva fare niente, perché era impossibile mandare un poliziotto davanti a ogni abitazione o in ogni macchina. Aveva aggiunto che questi reati avvengono anche in altri paesi.

Pochi giorni dopo il lancio, la campagna aveva ottenuto quasi ventimila visualizzazioni e oltre tremila commenti su Facebook. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1644 di Internazionale, a pagina 29. Compra questo numero | Abbonati