Simón López Trujillo
Il vasto territorio
Mercurio, 144 pagine, 15 euro

Leggendo la trama di Il vasto territorio _non si può che essere riportati alla serie _The last of us: anche qui il paesaggio è minacciato da misteriosi funghi. Il romanzo si muove su due linee parallele. Da un lato c’è Pedro, che vive nella cittadina cilena di Curanilahue, solo con i figli Patricio e Catalina, dopo che un male improvviso si è portato via la moglie. Lavora come taglialegna tra le piantagioni di eucalipto in quella che è l’unica prospettiva di occupazione per la classe operaia locale. Dall’altra parte del mondo c’è Giovanna, una ricercatrice di Manchester che torna in Cile per studiare un fungo che dal sottosuolo delle coltivazioni di eucalipto sembra essere la causa del malessere di Pedro. Le narrazioni si accavallano, mantenendo una distanza nel registro linguistico: il racconto di Pedro segue la sua routine (diventando man mano allucinatorio), mentre quello di Giovanna ha una sfumatura più scientifica. Entrambi guardano al rapporto compromesso tra ambiente e attività umane, tra capitalismo ed ecosistema. Le note al testo frammentano progressivamente la narrazione, aprendo ferite che replicano quelle della malattia. Mi entusiasma ancora una volta la capacità evocativa delle descrizioni di certi autori sudamericani, il loro modo preciso e immaginifico di descrivere la natura. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1621 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati