Era il 2012. Damon Albarn, ai più noto per essere il leader dei Blur e dei Gorillaz, salì a bordo di un treno insieme a un’ottantina di musicisti, in gran parte africani, e viaggiò in tutto il Regno Unito. Lungo il percorso, si fermarono in alcune città, facendo concerti, visitando scuole e ospedali. Il treno si chiamava Africa Express, proprio come il progetto fondato nel 2005 in Mali dallo stesso Albarn insieme a un gruppo di musicisti locali.

L’Africa Express è un’organizzazione non profit che ha l’obiettivo di facilitare le collaborazioni tra artisti di paesi africani, mediorientali e occidentali. Ma è soprattutto un gruppo di persone che ogni tanto si riunisce per condividere momenti di vita quotidiana, mangiare, bere e suonare. E che registra album, fa concerti e aiuta persone in difficoltà. Ne hanno fatto parte, tra gli altri, Paul McCartney, Brian Eno, Tony Allen, Fatoumata Diawara e i Tinariwen.

Metaforicamente, il treno dell’Africa Express non si è mai fermato. Ogni tanto si è preso una pausa, ma poi è ripartito, facendo salire a bordo nuovi passeggeri. Un anno fa è passato dal Messico, abbracciando per la prima volta anche il continente latinoamericano. Gli Africa Express sono stati protagonisti del festival Bahidorá, nel parco di Las Estacas. Più di settanta musicisti, cantanti e dj provenienti da tutto il mondo si sono esibiti sul palco e, dopo la fine del concerto, sono rimasti in Messico per una settimana per registrare musica in stanze d’albergo, giardini e villaggi sulle rive dei fiumi. Il risultato è il disco Africa Express presents… Bahidorá, una raccolta di 21 canzoni che mescolano cumbia, kuduro, salsa, rap, pop e soul. L’album esce l’11 luglio, e gli Africa Express, Damon Albarn compreso, lo presentano in anteprima in Italia l’8 luglio al teatro di Ostia Antica, alle porte di Roma.

“Il disco è stato registrato in Messico, ma con lo stesso spirito con cui abbiamo realizzato gli altri: ogni volta cerchiamo di creare una comunità, usando la musica come lingua comune e ci tuffiamo in un’avventura della quale non conosciamo l’esito. Alcuni di noi parlavano inglese, altri spagnolo, lingue congolesi, arabo e via dicendo. Ma ci bastava suonare insieme per capirci”, racconta Damon Albarn da Londra, nel Regno Unito. Porta un paio di occhiali da sole con le lenti azzurre, un cappellino rosso con la visiera e un grosso braccialetto dorato al braccio. Dietro di lui s’intravede l’insegna al neon di un gelato con delle scritte in cinese, protagonista anche della copertina del disco The magic whip dei Blur.

“Sto registrando una voce narrante per la mostra sui venticinque anni dei Gorillaz che faremo quest’estate a Londra”, mi spiega quando gli chiedo cosa sta facendo in studio, “sarà una bell’allestimento. Ma non sono qui per parlare di questo, giusto?”, aggiunge ridendo. Con la sua voce profonda e sempre più ricca di sfumature, il cantante londinese riprende a parlare dell’Africa Express, un progetto che vive con grande divertimento. “Quando l’ho fondato ero semplicemente infastidito da eventi come il Live 8, che si rivolgevano all’Africa ma coinvolgevano soprattutto musicisti occidentali. Io invece voglio mescolarmi con gli altri. E sono fortunato. In questi anni ho conosciuto artisti straordinari. Alcuni di loro, purtroppo, non ci sono più. Ma erano persone magiche, magiche”, dice, insistendo su questa parola. E il suo pensiero, probabilmente, va a Tony Allen, storico batterista di Fela Kuti e collaboratore di Albarn, morto nel 2020, e a Amadou Bagayoko, musicista maliano del duo Amadou & Mariam, morto lo scorso aprile.

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Quando gli chiedo quali sono stati i momenti migliori delle registrazioni di Africa Express presents… Bahidorá, cita Soledad, brano registrato insieme alla cantante messicana Luisa Almaguer, a Joan As Police Woman e al chitarrista degli Yeah Yeah Yeahs, Nick Zinner, nel quale Albarn a sorpresa fa il crooner in spagnolo. “Lavorare con Luisa Almaguer è stato una rivelazione. È un baritono ricco di sfumature. Non immagini che potrebbe venir fuori da lei. E poi amo cantare in spagnolo. È diventata la lingua della musica globale, sta superando l’inglese, quindi forse come al solito sto solo cercando di stare al passo con quelli più giovani di me”, dice ridendo.

Damon Albarn è una persona molto curiosa. Lo si capisce da come parla, dalla quantità di riferimenti culturali che tira fuori continuamente. Del resto, quando aveva vent’anni era una delle persone più famose del Regno Unito, una rockstar assoluta, il leader dei Blur, eppure non si è accontentato di quello status e dai primi anni duemila ha cominciato a sperimentare, non solo con i Gorillaz, allargando i suoi orizzonti musicali.

Da cosa gli viene questa predisposizione? “Sono cresciuto a Leytonstone, nell’est di Londra, e ho avuto la fortuna di ascoltare musica di ogni genere. Gli unici dischi pop che avevano i miei a casa erano Rubber soul dei Beatles e Atom heart mother dei Pink Floyd. Per il resto la mia infanzia è stata accompagnata da jazz, gospel, musica classica indiana e tanto altro. Da ragazzo mi hanno regalato una bellissima compilation curata dall’Unesco con artisti da tutto il mondo. Ho sempre cercato di usare la musica come un modo per viaggiare”.

A un certo punto gli domando quali libri l’hanno aiutato a cambiare prospettiva, e lui cita Orientalismo (Feltrinelli 1991) di Edward Said. Farebbe qualcosa per aiutare le persone di Gaza? “Andrei volentieri lì a suonare per loro. Oggi più che mai i palestinesi hanno bisogno della loro identità, perché gli è stata tolta con crudeltà”, risponde.

E cos’ha in comune la sua musica con quella degli altri musicisti del progetto Africa Express? “Tutto. Non ci sono differenze tra noi. Non ha senso parlare di musicisti britannici e musicisti maliani. I confini tra i paesi sono solo convenzioni. Per questo politici come Donald Trump e Nigel Farage fanno solo del male. Ogni suono che si ripete ipnotizza l’ascoltatore, a qualsiasi latitudine. È una cosa che non è solo presente in tutti i generi, ma dentro di noi. È il battito cardiaco del nostro corpo, il canto degli uccelli, i versi degli animali. In un certo senso la natura è profondamente ipnotica e ripetitiva, no? E la musica è uno degli strumenti magici che rievocano questa cosa”, aggiunge.

Baba Sissoko e Luisa Almaguer in concerto per il progetto Africa Express. (Camila Jurado)

Dopo aver parlato con Albarn, mi collego con il musicista maliano Baba Sissoko, maestro del tamani e discendente di una dinastia di griot (poeti e cantastorie), e con Luisa Almaguer. Sissoko si trova nel giardino di casa sua, poco fuori Cosenza, in Calabria, con una tazza di caffè in mano, e mi chiede subito “Come sta il mio fratello Damon?”. Almaguer, invece, si è appena svegliata a Città del Messico, dove la sera precedente ha aperto il concerto degli Yeah Yeah Yeahs, visibilmente emozionata per il modo in cui la sua carriera sta avendo una svolta da qualche mese a questa parte. Dietro di lei si vedono alcune piante e ogni tanto il suo gatto entra nell’inquadratura.

Sissoko e Almaguer duettano nell’ipnotica Adios amigos, la canzone finale del disco. E hanno trovato l’intesa giusta quasi subito. “Mente eravamo a cena la prima sera in Messico, ho pensato subito che volevo fare qualcosa con Luisa. Lei ha una naturalezza incredibile, abbiamo registrato Adios amigos al primo colpo. Lei cantava in spagnolo, io in bambara”, dice Sissoko.

“In Messico è stato tutto moltospontaneo”, gli fa eco Almaguer. “Il primo giorno ho cominciato a provare con Nick Zinner e Joan As Police Woman Hacernos así, un brano che ho pubblicato anni fa e che parla di un amore tra persone trans. A un certo punto è passato Damon e ha detto ‘Che pezzo meraviglioso,’ e si è seduto al piano. Abbiamo cominciato ad arrangiarla insieme e poi siamo andati in studio, con la gente che piangeva mentre mi ascoltava cantare. Ed era solo il primo giorno!”.

La voce di Almaguer, in effetti, è una delle sorprese maggiori di Africa Express presents… Bahidorá. “Sono una donna trans e ho questa voce bassa. Quando ho cominciato la mia transizione non mi piaceva, ne volevo una più femminile, ho pensato anche di operarmi. Ma dopo ho scoperto la sua potenza e ho pensato che esserne orgogliosa significava mandare un messaggio politico. Anche il fatto che gli ascoltatori rimangono spiazzati mentre canto mi piace. A volte in Messico, però, devo camuffarla per sopravvivere, per non far scoprire il fatto che sono trans. Nel mio paese c’è molto odio nei confronti delle persone come me”.

Forse il senso di questo nuovo capitolo del progetto Africa Express sta tutto nel testo di Adios amigos, con Almaguer che canta in spagnolo “Fuimos soberbios al ver a futuro / Fuimos soberbios y ahora nos duele”, siamo stati arroganti guardando al futuro, e ora fa male. La voce di Sissoko, invece, invita tutti a suonare e ballare insieme. “È un messaggio di pace e fratellanza, semplicemente”, commenta il musicista maliano.

È arrivato il momento di salutare anche loro, e di augurargli buona fortuna per il tour europeo che sta per cominciare. Tra poco il treno dell’Africa Express ripartirà di nuovo. Prossime fermate: Roskilde, Budapest, Ostia Antica, Amburgo e Barcellona. E poi chissà dove.

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