La polizia è arrivata alle otto del mattino. Gli agenti e un pubblico ministero hanno perquisito la redazione del blog finanziario svizzero Inside Paradeplatz, nella zona industriale di Zurigo. Le forze in campo erano squilibrate: sette contro uno, dato che Lukas Hässig gestisce il sito da solo. L’accusa è apparentemente bizzarra: violazione del segreto bancario. Ma svelare segreti non è il lavoro di un giornalista? Hässig è un reporter particolare, che mette online una specie di tabloid bancario. “I trader della Bär festeggiano la perdita di clienti con il Dom Pérignon”, ha titolato una volta parlando di una festa dei dipendenti della banca Julius Bär. In un’altra occasione Hässig ha scritto così di un ex dipendente del Credit Suisse: “Analista bancario diventa sessuologo, colleghi in burnout affollano il suo studio”. E non si è neanche lasciato sfuggire altre questioni: “Urs Rohner ha fatto entrare un agente segreto britannico al Credit Suisse”.
Hässig è un velocista della tastiera: spesso è costretto a pubblicare rettifiche o cancellare articoli. Ma ogni tanto gli riesce uno scoop. Finora il più importante è stato quello sui loschi affari di Pierin Vincenz, amministratore delegato della Raiffeisenbank. Le rivelazioni, però, gli sono costate un’indagine e una perquisizione. Al cuore di questa storia non c’è solo la libertà di stampa, ma anche il ruolo del segreto bancario per la Svizzera.
I problemi per Hässig sono cominciati nel 2016, quando è stato il primo a denunciare le operazioni sospette di Pierin Vincenz, che amava presentarsi come un’alternativa senza fronzoli rispetto agli inarrivabili dirigenti delle grandi banche. Hässig aveva spiegato come 2,9 milioni di franchi svizzeri (circa 3,1 milioni di euro) erano finiti sul conto di Vincenz. Il denaro proveniva da Beat Stocker, collega e consulente di Vincenz con cui aveva appena finalizzato per conto della Raiffeisenbank l’acquisizione di un fondo d’investimento. Non si sa come avesse avuto le informazioni, forse c’era stata la soffiata di un dipendente della banca. Comunque, fu aperta un’inchiesta sulla provenienza del denaro e sulle note spese del dirigente. Si scoprì così che Vincenz aveva messo in conto al datore di lavoro circa duecentomila franchi spesi negli strip club svizzeri. Alla fine, dopo un seguitissimo processo che si è svolto nella primavera del 2022, Vincenz e il suo partner sono stati condannati rispettivamente a tre anni e nove mesi e a quattro anni di carcere per frode. Entrambi hanno presentato appello.
Si potrebbe dire che con quell’inchiesta Hässig abbia cercato di mettere in riga il settore bancario svizzero. Ma per la procura zurighese l’articolo e la pubblicazione delle informazioni erano una violazione del segreto bancario, e da questo è scaturito il procedimento contro Hässig. Nella perquisizione gli agenti hanno confiscato cellulari, computer portatili, quaderni e documenti, stando a quanto riporta lui stesso nel suo sito. Il giornalista ha chiesto di sigillare gli oggetti confiscati e spetta ora a un giudice decidere se potranno essere usati come prova. Ma la vera domanda è un’altra: perché la magistratura svizzera usa metodi così duri con i mezzi d’informazione? E per di più usando l’accusa di violazione del segreto bancario?
Meglio dei dati sanitari
Hässig non è un banchiere. Ma il reato in Svizzera si applica anche a terzi, e quindi anche a chi fa informazione. I giornalisti non sono autorizzati a usare per il proprio lavoro dati bancari acquisiti illegalmente, neanche se di rilevanza pubblica. L’ha deciso il parlamento dieci anni fa introducendo delle modifiche che hanno reso ancora più severa la legge bancaria. Il risultato è che ora in Svizzera i dati bancari sono protetti meglio di altri dati sensibili, per esempio nel caso dei dati sanitari solo gli operatori del settore sono vincolati alla riservatezza, sottolinea l’avvocato esperto di comunicazione Simon Jakob.
Già nel 2015 avvocati e organizzazioni come Reporter senza frontiere avevano messo in guardia sul fatto che i nuovi termini e la stessa esistenza della legge rappresentavano un rischio: hanno un effetto paralizzante sui giornalisti investigativi e quindi limitano la libertà di stampa. Ma la maggioranza parlamentare di destra non aveva ancora superato le controversie con i paesi confinanti e con gli Stati Uniti: all’epoca c’erano frequenti fughe di dati dei clienti dalle banche svizzere, e stati come la Germania pagavano cifre considerevoli per ottenere quei cd con le informazioni. La cosa doveva finire.
Le conseguenze della scelta si sono manifestate nel 2022, quando il quotidiano Tages-Anzeiger ha rinunciato a pubblicare l’inchiesta Suisse secrets, a cui avevano contribuito alcuni suoi giornalisti. Stando alle loro ricerche, la banca svizzera Credit Suisse avrebbe ricevuto in custodia dal 1940 fino al decennio scorso cifre enormi da despoti e criminali.
Prima del caso Inside Paradeplatz in Svizzera non veniva perquisita una redazione da almeno trent’anni. All’epoca le autorità avevano voluto sapere chi avesse passato al settimanale SonntagsZeitung un documento riservato del ministero degli esteri. Anche allora c’entravano le banche e i movimenti di denaro: la Svizzera stava trattando con le organizzazioni ebraiche statunitensi per decidere cosa fare dei patrimoni sottratti dai nazisti ai proprietari ebrei e mai reclamati, ancora custoditi nei conti elvetici. Quella vicenda finì con un ambasciatore svizzero licenziato e l’intero paese, almeno temporaneamente, senza la sua buona reputazione.
In realtà la procura di Zurigo non è del tutto a suo agio con l’applicazione della legge sul segreto bancario. Sta indagando su Inside Paradeplatz perché ha ricevuto pressioni dal giudice che presiede l’inchiesta. Nel 2021 aveva archiviato l’indagine contro Hässig, perché non era riuscita a individuare il responsabile della fuga di notizie nella banca, nonostante da una perizia interna fossero emersi “sospetti fondati” su alcuni ex dipendenti. Beat Stocker, che si dichiara innocente, ha insistito: per due volte si è opposto all’archiviazione del caso e ogni volta ha ottenuto la sua riapertura.
Un’eventuale condanna di Hässig con ogni probabilità verrebbe sottoposta alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che dovrebbe decidere se dare la priorità alla libertà di stampa o alla tutela dei dati personali. Per ora la cosa certa è che nell’agosto del 2026 comincerà il processo d’appello per Beat Stocker e Pierin Vincenz. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1623 di Internazionale, a pagina 124. Compra questo numero | Abbonati