Gli abitanti di 44 città della Birmania, grandi e piccole, stanno raccogliendo i bossoli vuoti sparsi per le strade dopo il massacro del 27 marzo, la giornata dedicata alle forze armate. Alcuni li fotografano tenendoli tra le dita insanguinate e postano le immagini sui social network: sono la prova della potenza delle armi usate dall’esercito contro i manifestanti che hanno osato riempire le strade a migliaia guastandogli la festa.
I soldati, armati di mitragliatrici leggere cinesi e fucili semiautomatici di produzione locale, hanno ucciso 114 civili, inclusi dei bambini, nel peggior bagno di sangue dal colpo di stato del 1 febbraio. Il massacro segna un brutto cambio di passo, dicono gli esperti, spiegando che il Tatmadaw (l’esercito birmano), con la scusa di contenere i disordini, ha colpito duramente i manifestanti autorizzando le truppe a sparare. Il cambio di strategia è stato svelato il 26 marzo dall’emittente del governo. Un annuncio, prima del notiziario delle 20, ha avvertito che i manifestanti potevano “correre il rischio di essere colpiti alla testa e alla schiena da armi da fuoco”: è stata la prima ammissione dell’uso di proiettili veri da parte della giunta. Secondo l’Associazione di assistenza ai prigionieri politici (Aapp), sono almeno cinquecento i morti dal 1 febbraio e le persone arrestate più di 2.600.
Alcuni osservatori notano una somiglianza con le strategie militari adottate dal Tatmadaw contro i gruppi armati delle minoranze etniche nelle regioni periferiche del paese. “Sono ben equipaggiati, sono bravi a sparare e hanno un notevole spirito di corpo”, dice John Blaxland, docente di sicurezza internazionale e studi d’intelligence all’Australian national university di Canberra. Secondo gli esperti la giunta è ben dotata di armi di piccolo calibro, che ha usato per contenere la crescente ondata di rabbia popolare. “Ha sufficienti equipaggiamenti militari per affrontare le proteste e perfino un’eventuale resistenza armata”, dice Siemon Wezeman, ricercatore allo Stockholm international peace research institute, che monitora il commercio globale di armi. Ma sprofondare in un conflitto urbano prolungato con una resistenza armata non converrebbe alla giunta, aggiunge Wezeman: “La Birmania ha assistito a varie prolungate insurrezioni armate, e l’esercito non è mai riuscito a vincere”.
Il cambio di strategia della giunta – rinunciare al contenimento dei disordini per sparare proiettili veri contro manifestanti pacifici – ha ulteriormente indebolito i sempre più precari legami diplomatici del paese con Washington. Gli Stati Uniti hanno condannato gli eccessi dell’esercito colpendo con sanzioni il generale Min Aung Hlaing, capo dell’esercito, e due famigerate divisioni di fanteria leggera del Tatmadaw: la 33 e la 77. All’inizio di marzo Amnesty international aveva lanciato l’allarme: le truppe di fanteria, riconoscibili dal simbolo rosso sulle maniche delle uniformi, erano attive a Rangoon, Mandalay e a Monywa. “Alcune di queste divisioni sono note per le atrocità e le gravi violazioni dei diritti umani in tre stati abitati da minoranze: il Rakhine, il Kachin e lo Shan”, spiega Amnesty, aggiungendo che “per anni le minoranze – chin, kachin, karen, rakhine, rohingya, shan, ta’ang e altre – hanno portato i segni delle orribili violenze del Tatmadaw”.
Senza limiti
Il massacro del 27 marzo ha mostrato fino a che punto l’esercito è capace di ricorrere alla forza bruta anche contro la sua stessa gente, la maggioranza bamar, che ha partecipato con decine di migliaia di persone alle proteste contro il colpo di stato. Il bagno di sangue rivela la distanza crescente tra la giunta e la popolazione: durante la parata il generale Min Aung Hlaing diceva ai soldati in uniforme che il Tatmadaw è il “protettore del popolo” mentre le forze armate scaricavano le mitragliatrici contro i cittadini.
◆ Il 28 marzo 2021 l’esercito birmano ha bombardato alcuni villaggi nel territorio controllato dal Karen national union (Knu), uno dei gruppi armati delle minoranze etniche in guerra contro il governo centrale. Migliaia di persone sono scappate in Thailandia, dove però sono state rimandate indietro. Il 31 marzo gli Stati Uniti hanno sospeso l’accordo con la Birmania sul commercio e gli investimenti e il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è riunito per la terza volta per discutere del colpo di stato a Naypyidaw.
Due mesi dopo il colpo di stato, la potenza di fuoco dei militari ha portato la Birmania sull’orlo del fallimento. “La giunta non è riuscita a garantire le regolari attività di uno stato, ostacolate dal movimento di disobbedienza civile a cui hanno aderito i lavoratori di vari settori”, dice Maung Zarni, del centro studi Forces of renewal Southeast Asia. “Né è in grado di gestire il territorio nazionale, perché ampie porzioni sono controllate da più di venti organizzazioni etniche armate”. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1403 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati