Le immagini di videosorveglianza mostrano decine di persone in attesa alla fermata dell’autobus della linea 62 in un quartiere di Gerusalemme Est quando, poco dopo le 10 del mattino di lunedì 8 settembre, due uomini armati hanno sparato sulla folla, tra cui si trovavano molti residenti delle colonie ebraiche nella Cis­giordania occupata, prima di aprire il fuoco all’interno di un autobus. Il bilancio è pesante: sei morti e otto feriti. Un attacco “terroristico”, ha dichiarato la polizia. Le autorità hanno annunciato che i due aggressori, uccisi da un soldato e da un civile armato, provenivano da villaggi vicini a Ramallah, sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). L’esercito ha immediatamente circondato la zona.

L’attacco ha ricordato agli israeliani che la Cisgiordania rimane uno dei “sette fronti” della guerra, come li ha definiti il premier Benjamin Netanyahu dopo il 7 ottobre 2023, insieme a Hamas, Hezbollah, l’Iran, gli huthi nello Yemen, le milizie in Iraq e Siria. È un conflitto in gran parte invisibile, anche se ha causato la morte di 987 palestinesi uccisi dall’esercito o dai coloni in Cisgiordania negli ultimi 23 mesi, secondo l’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha). Le vittime dell’8 settembre si aggiungono ai 52 israeliani uccisi dall’ottobre 2023, secondo un conteggio dell’Onu che arriva alla fine di luglio. Diversi ministri del governo hanno promesso che Israele si vendicherà. Hamas ha definito l’attacco una “risposta naturale” al “genocidio dell’occupazione contro il nostro popolo” (il 9 settembre le Brigate al Qassam, il braccio armato del gruppo, ne hanno rivendicato la responsabilità). L’Anp invece l’ha condannato. L’attacco ricorda il periodo della seconda intifada, tra il 2000 e il 2005, quando furono commessi decine di attentati sui mezzi di trasporto pubblici israeliani.

Momento cruciale

Oggi la situazione è diversa. In primo luogo perché negli ultimi due anni l’esercito israeliano ha intensificato le operazioni a Nablus, Tulkarem e Jenin. Alcuni esponenti dell’apparato di sicurezza chiedono però un ulteriore giro di vite. Le provocazioni dei politici israeliani, come quella del ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, che ha visitato la Spianata delle moschee in violazione dello status quo che regola il luogo, non hanno avuto conseguenze. “È un momento cruciale per i palestinesi in Cis­giordania. Da un lato temono che quello che succede a Gaza possa accadere anche a loro. Dall’altro vorrebbero vendicarsi e hanno le armi per farlo”, spiega Ronni Shaked del Truman institute for the advancement of peace dell’università ebraica di Gerusalemme.

L’Anp è strangolata finanziariamente perché non può riscuotere parte delle tasse trattenute dallo stato ebraico. Dall’ottobre 2023 sono stati revocati i permessi di lavoro concessi a centinaia di migliaia di palestinesi per andare in Israele, limitando gli spostamenti e le risorse economiche. Il territorio è disseminato di posti di blocco militari. Molte strade sono regolarmente chiuse. L’area occupata dai coloni continua a espandersi, così come la loro violenza.

L’attacco dell’8 settembre è avvenuto mentre il governo Netanyahu sta valutando di dichiarare la piena sovranità su tutta o parte della Cisgiordania, oltre a Gerusalemme Est, già annessa nel 1980. A poche settimane dal riconoscimento dello stato di Palestina annunciato da Francia, Australia, Canada e altri paesi durante l’assemblea generale dell’Onu il 22 settembre, Israele sta preparando la sua risposta anche su questo fronte. ◆ fg

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Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati