Il quadro splende nell’oscurità, piccolo ma incandescente. Nella scena ci sono tre uomini: due a bordo di un’imbarcazione che trascina una rete, delicatamente visibile sotto la superficie dell’acqua; il terzo è in piedi sulla costa rocciosa e invita gli altri a seguirlo, in un’atmosfera che risplende di tinte dorate. I pesci nuotano in direzione dello spettatore attraverso acque verdi e trasparenti, mentre i marinai osservano rapiti il gesto eloquente di Cristo. Tutto è fluido, mobile, elementare.
Duccio di Buoninsegna dipinse questo pannello per la spettacolare pala d’altare bifronte installata con grande sfarzo nella cattedrale di Siena nel 1311. La scena è un riferimento al vangelo di Luca. La parte frontale dell’altare si trova ancora nella città toscana, ma questi pannelli di legno furono rimossi nel settecento. Alcuni sono andati perduti, probabilmente distrutti. Altri sono sparsi per il mondo. La mostra alla National gallery di Londra intitolata Siena: the rise of painting, 1300-1350 riunisce otto dipinti rimasti separati a lungo e provenienti da luoghi lontani come il Texas, New York e Madrid, insieme a molte altre meraviglie. L’esposizione è tanto importante quanto innovativa.
Le intuizioni di Duccio
A qualcuno l’idea di scoprire un arco di cinquant’anni nella Siena del trecento potrebbe sembrare poco emozionante, ma si sbaglierebbe di grosso. In questa città avviene una transizione magica in cui uomini, donne e bambini, cani e asini, santi e peccatori prendono vita tutti insieme, entrando nel nostro mondo di emozione ed espressione, incertezza, amore e azione. La pittura si riempie di umanità.
La mostra si apre drammaticamente con una tavola del secolo precedente. Rigida e austera, la Vergine con bambino è coperta di fori. Inizialmente si può avere l’impressione che il legno sia stato invaso dai tarli, ma poi si nota lo strato dorato e tempestato di gioielli che un tempo era sovrapposto all’immagine e ora figura al suo fianco. Solo la mano, come un oggetto votivo di metallo, contiene una traccia di emozione materna.
La raffigurazione di madre e figlio – il bambino che afferra il velo, si appoggia guancia a guancia alla madre o osserva verso l’alto, affascinato – è un elemento ricorrente in tutta la mostra. Ma Duccio ha chiaramente le intuizioni più folgoranti. Maria giace su un fianco, scomodamente, con il ginocchio alzato, riprendendosi da un travaglio sfiancante. Il piccolo Gesù agita le gambe contro la prospettiva di un bagno. In una scena, Maria lo accoglie nella piega di un braccio, senza incrociare il suo sguardo perché conosce il suo futuro disperato. Un angelo in volo indica la scena sottostante con un dito minuscolo: guardate, dice ai suoi amici alati, tutto è diventato realtà!
Duccio (la data di nascita e quella di morte sono sconosciute) mostra una compassione cruda. Notiamo i passanti mentre osservano la resurrezione di Lazzaro, sconvolti, ammaliati. L’uomo vicino alla tomba si porta la tunica al naso, turbato. L’imminente guarigione del cieco ai piedi di Cristo è insinuata dai suoi occhi sorpresi eppure tristemente sfregiati. Il dipinto intitolato Le nozze di Cana è piccolo e preciso: niente ospiti, niente sposo, solo la cerchia santa e il miracolo in corso.
Un servo versa attentamente acqua limpida nelle anfore – maiolica toscana – mentre un altro travasa il contenuto, diventato vino rosso, nei bicchieri. Gesù è visibilmente seccato con Maria, seduta accanto a lui, perché lo ha costretto a compiere questo prodigio dell’accoglienza.
È possibile che da Duccio abbiano imparato l’arte anche le altre stelle della mostra: Simone Martini e i fratelli Lorenzetti. Il teatro di Martini spazia dalla tragedia alla commedia elevata. La sua raffigurazione di san Giovanni – dai capelli rossi, gli occhi nocciola, la mascella tesa, che mostra un ghigno di dolore davanti alla vista del Cristo sulla croce – è carica di un’afflizione che si rispecchia fino al tremore dei suoi abiti.
Eppure chi ha mai dipinto il ritorno di Gesù dal tempio con più umorismo? Il giovane Gesù ha il broncio e le braccia furiosamente incrociate, mentre Giuseppe lo porta a casa dalla madre disperata. “Dove sei stato?”, lo implora lei. Possiamo chiaramente sentire la sua risposta: con persone molto diverse da te.
Pietro Lorenzetti e suo fratello minore Ambrogio hanno lavorato in ogni scala. Un piccolo dittico condensa la storia di Cristo in un paio di dipinti giustapposti: cullato dalla Vergine a sinistra, crocefisso a destra. Il dittico si può tenere in mano, aperto come un libro. Il crocifisso intagliato di Pietro, invece, è enorme: il corpo emaciato appeso alla croce – letteralmente fatta di legno – e capelli che scendono a cascata verso un teschio inquietante deposto ai piedi. A metà tra due e tre dimensioni, il crocifisso proietta un’ombra a grandezza naturale.
Un principe viziato
Molte di queste opere sono oggetti oltre che immagini, fatte per essere trasportate o osservate in privato. Alcune di quelle più piccole sono disposte all’interno di nicchie in modo da poterne scrutare in profondità ogni scena. Un’intera galleria è dedicata ai tessuti, ed è affascinante vedere in un’opera la seta in cui il Cristo bambino è avvolto come un piccolo principe viziato. Un testo su un muro indica che le leggi senesi impedivano questo sfoggio di ricchezza. Gesù, dunque, è vestito con un’eleganza domenicale proibita.
Verso la fine tutto diventa più rosa, blu e oro. La Maria di Ambrogio non è solo rosea e curvilinea, ma indossa una corona d’oro che si abbina agli orecchini. Quando si arriva al dittico Wilton di proprietà della National gallery, ingegnosamente incluso nella mostra, è facile convincersi che l’autore di questa magnifica fusione di delicate figure e strati d’oro abbia ammirato alcuni dipinti senesi.
I lavori di Duccio arrivati ai nostri giorni sono pochi, dunque è impagabile poterne apprezzare tanti in un posto solo. Il suo diavolo è un politico nero e peloso che cerca di corrompere un Cristo inflessibile, prima su un balcone, poi nella campagna toscana, con Siena che sembra una casa delle bambole rosa su cui le due figure si arrampicano. La Vergine piangente è anch’essa cullata (come lo fu Cristo) da teneri compagni durante la crocifissione. Quando Gesù torna in una visione, il suo sangue si trasforma in ali scarlatte, un lampo di immaginazione pura.
Non c’è solo l’aspetto che quelle scene avrebbero potuto avere, ma anche il modo in cui potrebbe averle vissute il protagonista, nel suo cuore, nella sua mente e nel suo corpo. Questo è ciò che Siena regalò al mondo. Nel 1350 quasi tutti questi artisti erano morti: la peste nera travolse la città, portandosi via un terzo della popolazione.
Quello che apprezziamo in questa mostra è un momento d’oro dell’arte, prima che le strade della città diventassero vuote e silenziose. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1611 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati