Gli Stati Uniti sono passati dalla retorica ai fatti. Il 2 settembre la Casa Bianca ha celebrato come un grande risultato l’operazione del contingente militare inviato nel mar dei Caraibi che ha fatto saltare in aria un’imbarcazione salpata dal Venezuela. Nessuno degli undici componenti dell’equipaggio è sopravvissuto all’attacco di quello che sembra essere stato un missile. La rilevanza data da Donald Trump all’operazione, condotta in acque internazionali, aumenta la pressione sul presidente venezuelano Nicolás Maduro, che Washington vorrebbe vedere processato come leader di un presunto cartello della droga internazionale.
Il governo chavista è sottoposto a una pressione militare senza precedenti. Nelle ultime settimane Trump ha inviato in un’area non specificata del mar dei Caraibi tre cacciatorpedinieri lanciamissili, aerei spia P-8, corazzate e un sottomarino nucleare. Anche se i sistemi elettronici usati dall’esercito statunitense impediscono di localizzare la posizione precisa, secondo alcuni esperti il contingente si trova al confine con le acque internazionali venezuelane.
Con questa dimostrazione di forza Washington dice di voler intimidire i cartelli della droga che inviano i loro carichi verso gli Stati Uniti. Tuttavia il primo bersaglio ha un nome e un cognome: Nicolás Maduro.
Il presidente del Venezuela ha recepito il messaggio e ha reagito inviando le truppe alla frontiera, dichiarandosi pronto ad accettare la lotta armata. In tutto il paese la popolazione è stata invitata a unirsi a una milizia per opporsi a un’ipotetica incursione militare statunitense, che naturalmente avrebbe una potenza di fuoco molto maggiore.
Il dipartimento di stato statunitense assicura che Maduro è il leader del Cártel de los Soles, inserito da Washington nell’elenco delle organizzazioni terroristiche in modo da poter usare l’esercito per attaccarlo. Ma al momento non è stata fornita nessuna prova del fatto che il presidente del Venezuela controlli il gruppo criminale.
Restare al potere
Nei dodici anni da quando è al potere, Maduro ha attraversato vari momenti di difficoltà, ma nessuno paragonabile a quello attuale. Dal luglio 2024 è isolato a livello internazionale perché si è proclamato vincitore delle elezioni nonostante evidenti irregolarità.
Dopo il voto il governo ha condotto una repressione con migliaia di arresti, spingendo il vincitore virtuale delle elezioni, Edmundo González Urrutia, a rifugiarsi in Spagna. Nemmeno i grandi governi di sinistra dell’America Latina (Colombia, Messico e Brasile) hanno riconosciuto la vittoria di Maduro, che tuttavia è rimasto al potere affidandosi a una risorsa classica del chavismo: aspettare. Infatti a poco a poco la situazione politica venezuelana è scomparsa dal palcoscenico internazionale.
María Corina Machado, principale leader dell’opposizione venezuelana, aveva accolto con entusiasmo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, soprattutto perché aveva scelto come segretario di stato Marco Rubio, suo amico personale e sostenitore di un approccio aggressivo nei confronti di Cuba e del Venezuela.
Nell’amministrazione Trump Rubio è considerato il principale promotore delle sanzioni contro Caracas e della pressione economica contro i due paesi.
Eppure nel primo mese di mandato Trump ha aperto la porta a Maduro inviando a Caracas un suo rappresentante in missione speciale, Richard Grenell, fotografato insieme al leader venezuelano nel palazzo di Miraflores (la residenza presidenziale) mentre entrambi osservavano una spada di Simón Bolívar. Sul volo di ritorno, Grenell ha portato con sé sei statunitensi arrestati in Venezuela. In quel momento a Washington si diceva che Grenell, vicino agli interessi delle aziende petrolifere, avesse più influenza di Rubio sulle questioni che riguardavano il Venezuela.
Poi sono arrivati l’accordo per consentire al gigante petrolifero Chevron di continuare a operare in Venezuela (un accordo che ha portato introiti fondamentali nelle casse pubbliche del paese) e l’autorizzazione allo sbarco dei venezuelani espulsi dagli Stati Uniti.
Equilibrio delicato
Queste decisioni erano state interpretate da molti come un tentativo di dare respiro al governo di Maduro. Da parte sua, il leader venezuelano si è affidato e continua ad affidarsi alla politica estera non interventista promossa da Trump in campagna elettorale, basata su un impegno militare e diplomatico minimo. Ma allo stesso tempo a Caracas sanno bene che Trump è una persona imprevedibile in grado di spiazzare anche i suoi collaboratori, come dimostra il fatto che ha attaccato l’Iran nonostante il parere contrario di tutti i suoi consiglieri.
“Il nostro principale nemico è Marco Rubio”, conferma un alto funzionario del governo di Caracas, rivelando che l’ambiente intorno a Maduro è “tranquillo” e nessuno crede alla prospettiva di un’invasione.
Come sempre, il chavismo si muove in equilibrio tra una retorica dura e provocatoria e le aperture al negoziato. In quest’ottica è significativo che i rappresentanti del governo attacchino raramente Trump ma si concentrino su Rubio, accusandolo di condizionare il presidente statunitense con le sue idee.
In ogni caso in poche settimane la tensione tra i due paesi ha raggiunto livelli impensabili fino a poco tempo fa. Il dispiegamento di forze nel mar dei Caraibi è stato un primo segnale inviato da Washington a Maduro. Il secondo è stato far saltare in aria una barca partita dal Venezuela, uccidendo tutte le persone a bordo. Il messaggio è stato inviato. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati