La prima volta che ricordo di aver comprato musica è stato un giorno del 2001, in un negozio della catena Best Buy. Ne sono uscito con due cd: Who let the dogs out dei Baha Men e il numero cinque della compilation pop Now that’s what I call music!.
Ognuno di quei due dischi costava più di un mese di servizi streaming di oggi, a dimostrazione di come si sarebbe evoluto l’ascolto musicale nei vent’anni successivi: Napster, LimeWire, iPod, iPhone, Spotify e TikTok. In ogni decennio della mia vita è emerso un nuovo formato. Le audiocassette sono state sostituite negli anni novanta dai cd, i quali sono stati spodestati nei duemila dagli mp3, a loro volta sostituiti negli anni dieci del duemila dallo streaming. Ormai la musica non si compra più, si affitta.
Tagliare i ponti con il passato
Altrettanto interessante è constatare oggi l’inutilità delle precedenti versioni delle mie librerie musicali: il mio primo iPod è defunto e non ho idea di dove sia finito il cd dei Baha Men. Perdere una parte di quella musica è stato come tagliare linee di comunicazione con altre versioni di me stesso più giovane, con le memorie che una vecchia canzone può riportare alla mente, il primo bacio o momenti interiori, più difficili da articolare.
La musica che ho salvato dal mio passato fa oggi parte della mia collezione su Spotify, che uso dall’inizio, da quando è stato lanciato negli Stati Uniti, dieci anni fa. Ma se guardo quello che è successo negli ultimi due decenni, provo disagio per le centinaia di playlist che mi sono preso la briga di creare sulla loro piattaforma: tra dieci o vent’anni, sarò in grado di accedere alla musica che oggi m’interessa, e a tutti i luoghi, le persone e i periodi che evoca?
Sfortunatamente gli esperti di tecnologia e dell’industria musicale che ho consultato mi hanno detto che ho buoni motivi di temere l’attuale instabilità. “Sei fregato”, mi ha detto Brewster Kahle, fondatore di Internet Archive.
La ragione per cui sono fregato è che per gli ascoltatori di Spotify la possibilità di accedere alla loro collezione nel futuro lontano dipenderà dal fatto che l’azienda mantenga il suo software, rinnovi i suoi accordi con i detentori dei diritti e, naturalmente, che non fallisca quando qualcos’altro soppianterà l’attuale modello di ascolto musicale. Kahle, ovviamente, intravede problemi simili anche con ebook e film che esistono solo in forma digitale.
Forse sono assalito dall’ansia per il futuro della mia libreria musicale perché l’ho già persa una volta. Una decina d’anni fa, i circa cinquemila file che avevo ammassato su iTunes scomparvero per un’operazione di duplicazione del disco rigido andata storta.
Ma, anche al di là dei contrattempi come questo, David Holmes di Esquire ha definito il periodo che va più o meno dal 2001 al 2015 gli “anni cancellati”, a causa del numero di mp3 di quell’era che non sono sopravvissuti alla migrazione verso lo streaming. E ha rimpianto artisti che hanno toccato il loro massimo successo in quel periodo, come Chingy, Corinne Bailey Rae, Kaiser Chiefs e i Click Five.
Ma la caducità è stata sempre una caratteristica delle collezioni e delle librerie musicali, fin dai tempi dei fonografi. “Se si guarda alla storia della musica registrata, il formato cambia ogni 25-50 anni”, dice Jonathan Sterne, professore di studi sulla comunicazione alla McGill university di Montréal, e “l’orizzonte temporale si è ulteriormente accorciato” nell’era digitale.
Secondo Sterne, autore del libro The audible past sulle origini culturali della riproduzione sonora, all’inizio del novecento la maggior parte degli ascoltatori trattava un disco come avrebbe potuto trattare una rivista stampata. “Si ascoltava per un po’ e poi si buttava via”, mi ha detto. E in ogni caso un vinile (o un nastro audio, o un cd) può andare perduto o rovinarsi fisicamente. Può anche essere distrutto in un incendio, come è accaduto in un archivio dello Universal Music Group nel 2008 a migliaia di registrazioni originali, tra cui probabilmente quelle di alcuni giganti come Louis Armstrong, Ella Fitzgerald e Bing Crosby.
Ma le librerie musicali personali dei servizi di streaming hanno qualcosa di ancora più effimero. Ti vengono raccomandate di continuo nuove uscite o playlist. L’applicazione stessa è improntata alla novità, alla popolarità e agli ascolti recenti, piuttosto che allo sfogliare brani amati e sepolti nelle vecchie playlist. E a volte le canzoni spariscono dal catalogo di Spotify senza preavviso.
Rassegnazione pratica
Naturalmente, in cambio dell’esperienza relativamente più fugace di oggi, gli ascoltatori ottengono un accesso a cataloghi enormi. Uno studio del 2017 ha scoperto che, dopo che gli ascoltatori sono passati allo streaming per sei mesi, il numero di artisti che hanno ascoltato è aumentato del 32 per cento. Scoprire nuova musica è più facile. Le raccomandazioni di Spotify possono essere preziose, anche se l’applicazione è decisamente invadente e sembra che punti a farci ascoltare di continuo qualsiasi cosa.
È una rottura con il passato. Mark Mulligan, analista dell’industria musicale della società di consulenza MIDiA Research, ha osservato che il primo modello diffuso di ascolto digitale, la biblioteca personale di mp3, era in linea con l’idea di una collezione stabile, nata quando le persone compravano dei dischi e li conservavano.
Al contrario oggi i più giovani sono abituati a sentire brevi estratti di canzoni sui social network e a playlist collettive che gli utenti modificano di continuo. Potrebbero non aspettarsi, e neppure desiderare, la stabilità con cui sono cresciuto io. Immagino che un giorno vorranno, come me, riascoltare la musica dei loro anni di formazione, e farlo sarà più difficile di quanto possono immaginare ora. Le possibili soluzioni che gli esperti mi hanno suggerito sono quasi ridicole: trovare e scaricare ogni mp3 che desidero e farne una copia su disco rigido; comprare copie fisiche di ogni album che desidero; usare un software speciale per registrare ogni canzone mentre la riproduco sul mio computer; scattare delle istantanee di ogni playlist presente nella mia libreria; scrivere il nome di ogni singola canzone. Metodi di archiviazione imperfetti o poco pratici. Poi, anche andando fino in fondo, si rischia di ritrovarsi con file di testo ingestibili, dischi rigidi obsoleti o corrotti e chissà cos’altro.
Forse la cosa più saggia è rassegnarsi a sopportare indefinitamente le difficoltà tecniche e i cambiamenti del settore. Farò quello che tutti gli amanti della musica dovranno fare: continuare ad aggiungere musica alla collezione fingendo che durerà per sempre. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1424 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati