In occasione dell’esposizione universale di Osaka del 1970, i decani della musica d’avanguardia mondiale vissero un momento elettrizzante. Karlheinz Stockhausen si esibì ogni giorno all’interno della sala concerti sferica del padiglione della Germania Ovest, mentre il suo contemporaneo norvegese Arne Nordheim aveva creato per il padiglione scandinavo un pezzo che poteva essere riprodotto per cento anni senza ripetizioni (purtroppo l’expo durò solo sei mesi).

Il padiglione della Federazione giapponese dell’acciaio e del ferro comprendeva un auditorium chiamato Space Theatre in cui i visitatori ascoltavano opere di Toru Takemitsu, Yuji Takahashi e del compositore greco-francese Iannis Xenakis, riprodotte attraverso più di mille altoparlanti. Takemitsu, incaricato anche della direzione artistica del padiglione, aveva parlato della possibilità di “creare un nuovo tipo di sala concerti” per “una musica interamente nuova”.

Spirito utopico

Parte di quello spirito utopico è riemerso durante Unsound Osaka, la prima edizione giapponese dello storico festival di musica sperimentale che si svolge ogni autunno a Cracovia, in Polonia. Sebbene sia solo marginalmente collegato all’esposizione universale di Osaka del 2025 (ha usufruito di fondi stanziati dalla stessa agenzia polacca che ha curato il padiglione nazionale all’expo), l’evento, che si è svolto dal 5 al 7 settembre, ha assorbito almeno in parte l’energia culturale che in questo momento attraversa la metropoli giapponese.

Nel corso di tre giorni e tre notti, Unsound ha coinvolto diverse località sparse per Osaka tra club e sale concerti, ma anche un negozio di dischi, una galleria d’arte e un teatro del nō. Il programma è stato eclettico e spesso audace.

L’esibizione più attesa è stata anche quella che ha reso più esplicito il legame con l’expo di Osaka del 1970. Nella serata di apertura, registrando il tutto esaurito, l’icona della musica sperimentale Keiji Haino si è scatenato usando alcune sculture sonore create da François Baschet e da suo fratello Bernard per il padiglione dell’acciaio del 1970.

Questi elaborati marchingegni sono attualmente apprezzabili nell’ambito di una mostra dedicata a Ryuichi Sakamoto, sempre a Osaka.

Keiji Haino (Yoshikazu Inoue, Unsound)

Sakamoto aveva scoperto le creazioni dei fratelli Baschet a 18 anni visitando l’esposizione del 1970, e le aveva incorporate in uno dei suoi lavori successivi. L’approccio di Haino è stato meno delicato rispetto alle pazienti esplorazioni di Sakamoto. Usando percussioni e archi, ha cercato di liberare il pieno potenziale di ogni scultura, anche con le maniere forti: una performance vigorosa e corporale, sospesa tra un rituale sciamanico e la meraviglia di un bambino in un negozio di dolci.

L’esibizione di Haino è stata preceduta dal set più tranquillo ma non meno coinvolgente di Jim O’Rourke ed Eiko Ishibashi, che hanno remixato l’opera del compositore Włodzimierz Kotoń­ski, pioniere e stregone dell’elettroacustica. In alcuni momenti è sembrato che la musica fosse passata attraverso gli altoparlanti dello Space Theatre, mentre in altri si aveva l’impressione che il suono arrivasse direttamente dal futuro.

Le abbaglianti performance audiovisive ormai onnipresenti nel mondo della musica elettronica sono state quasi del tutto assenti dal festival, fatta eccezione per i laser sincronizzati e i sub-bassi brontolanti dell’artista australiano Robin Fox, per l’odissea di sintetizzatori di Hania Rani e per l’assalto psichedelico di Eye (dei Boredoms) e C.O.L.O. al Creative center Osaka. Molti artisti si sono esibiti in una luce crepuscolare che invitava alla contemplazione.

L’evento del Creative center, snodo cruciale della scena musicale underground della città, ha offerto il programma più ricco. Rai Tateishi, ex componente dell’ensemble taiko Modo, ha aperto le danze con un ipnotico set d’improvvisazioni eseguito da vari flauti. Tecniche eterodosse come le armonie, l’uso percussivo delle dita e la respirazione circolare hanno conferito agli strumenti un suono alieno, rafforzato dalla lavorazione digitale di Koshiro Hino, compagno di Tateishi nella rock band minimalista goat.

Il nuovo duo composto da Yosuke Fujita (FUJI||||||||||TA) e l’artista statunitense Ka Baird, commissionata direttamente da Unsound, ha seguito lo stesso approccio. Entrambi gli artisti hanno usato strumenti a fiato per creare musica quasi interamente percussiva: Baird ha prodotto esplosioni di sibili, mentre Fujita ha risposto usando la canna di un organo percossa con un air stylus. All’inizio Baird – con una presenza scenica che fa pensare a una punk-rocker della New York degli anni settanta – ha dominato l’esecuzione, ma alla fine del set Fujita si è trasformato in un fiume in piena e rispondeva ai vocalizzi e alla percussioni sul microfono di Baird ululando come un lupo.

Laboratorio musicale

Kakuhan, il duo composto da Koshiro Hino e dal violoncellista Yuki Nakagawa, ha riproposto la collaborazione con il percussionista Adam Gołębiewski, già vista all’Unsound di Cracovia del 2023. Le percussioni improvvisate di Gołębiewski e il fantasioso lavoro al cembalo hanno aggiunto dinamismo alla combinazione di ritmi astratti e corde febbrili di Kakuhan, come un connubio immaginario tra Arthur Russell e Autechre. L’accoppiamento tra l’innovatore del Chicago footwork RP Boo e il percussionista polacco Gary Gwadera, in una performance commissionata apposta per il festival, è sembrata non ancora matura, simile a una jam session i cui partecipanti probabilmente avrebbero preferito suonare da soli. Ma come ha dichiarato Mat Schulz, il direttore artistico di Unsound, nel discorso di presentazione durante la serata d’apertura l’evento è stato “non solo un festival, ma anche un laboratorio”. Non tutto doveva funzionare alla perfezione.

O’Rourke e Ishibashi sono ritornati per l’ultima serata con una performance al teatro del nō di Ohtsuki, dove sono stati raggiunti dal polacco Piotr Kurek. La loro esibizione ha spaziato freneticamente tra la tensione ronzante e gli slanci bucolici, con le voci che emergevano occasionalmente dal mix con la chiarezza di un incubo. I set precedenti della cantante polacca Antonina Nowacka e del chitarrista Raphael Rogiński (il secondo ha proposto le sue reinterpretazioni ispirate della musica di John Coltrane) sono stati ammalianti nella loro essenza pacata.

In un’intervista concessa alla rivista musicale giapponese ele-king, Schulz e la codirettrice del festival Gosia Płysa hanno lasciato intendere che Unsound tornerà in Giappone. La speranza è che non sia necessario aspettare un’altra expo. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1632 di Internazionale, a pagina 81. Compra questo numero | Abbonati