coronavirus

Mentre si diffondeva a macchia d’olio nel pianeta, il virus sars-cov-2 modificava in modo casuale la sua sequenza genetica. Come piccoli refusi in un testo, la maggior parte di quelle mutazioni non ha alterato il comportamento del virus. Ma alcuni studi recenti indicano che una di quelle modifiche, avvenuta nelle prime fasi della pandemia, ha reso il virus più contagioso, complicando il suo contenimento.

Le nuove prove hanno fatto cambiare idea a molti scienziati inizialmente scettici

La mutazione in questione, nota come 614G, è stata individuata per la prima volta a gennaio nell’est della Cina, per poi spuntare poco tempo dopo in Europa e negli Stati Uniti. Nel giro di poche settimane si è diffusa in gran parte del mondo, a scapito delle altre. Da mesi gli scienziati cercano di capire perché. A maggio i ricercatori del Los Alamos national laboratory, negli Stati Uniti, hanno ipotizzato che la variante avesse sviluppato la capacità d’infettarci con maggiore efficacia. Secondo altri, la diffusione della variante sarebbe stata invece casuale, dovuta semplicemente al fatto che era presente nei principali focolai, come quello dell’Italia settentrionale. Le ricerche più recenti – minuziose analisi genetiche dei focolai e studi di laboratorio su criceti e tessuti polmonari umani – hanno invece confermato che il virus mutato era davvero più contagioso dell’originale, individuato a Wuhan.

Effetto domino

Non ci sono prove del fatto che il covid-19 con la mutazione 614G causi sintomi più gravi e un maggior numero di vittime, o che complichi lo sviluppo dei vaccini. E le nuove ricerche non modificano l’esperienza del virus sul campo: i paesi e le regioni che hanno imposto rapidamente lockdown, misure di distanziamento fisico e uso delle mascherine hanno avuto risultati migliori di quelli che hanno fatto scelte diverse. Eppure, a quanto pare, l’impercettibile mutamento del genoma del virus ha avuto un effetto domino significativo, dice David Engelthaler, genetista del Translational genomics research institute in Arizona: “È possibile che sia stata proprio questa mutazione a causare la pandemia”. La maggior parte dei ricercatori, lui compreso, tende a pensare che l’epidemia si sarebbe comunque diffusa in tutto il mondo. Ma se la variante originale individuata a Wuhan alla fine del 2019 era già molto contagiosa, spiega Engelthaler, la mutazione ha sicuramente accelerato la diffusione del virus.

In quest’ambito della virologia gli scienziati sono di solito molto prudenti. Negli studi di laboratorio si è scoperto che le mutazioni del virus ebola, che si è diffuso in Africa occidentale a partire dal 2013, accentuavano l’infettività nelle colture di tessuti. Ma questo non si è tradotto in una maggiore trasmissione del virus negli studi di laboratorio con gli animali. Secondo alcuni esperti, gli effetti della mutazione 614G sono modesti rispetto a quelli di altri fattori, come il distanziamento fisico.

Ma le nuove prove fornite dai ricercatori nel Regno Unito e negli Stati Uniti hanno fatto cambiare idea a molti scienziati inizialmente scettici. Da un primo studio è emerso che i focolai in alcune comunità britanniche si sono estesi più rapidamente con la variante 614G rispetto a quella originale di Wuhan; da un secondo, che i criceti si contagiavano di più se esposti alla variante; e, da un terzo, che anche il tessuto colturale bronchiale e nasale umano s’infettava di più. I risultati hanno convinto Trevor Bedford, professore associato del Fred Hutchinson cancer research center dell’università dello stato di Washington. “Alla fine ho dovuto ammettere che mi sbagliavo”, ha detto.

Responsabilità politiche

Pur apprezzando i nuovi studi, Bedford e altri scienziati sostengono che non è ancora dimostrato che il predominio della variante dipenda da un vantaggio innato. Secondo Kristian Andersen, genetista dello Scripps research institute di La Jolla, negli Stati Uniti, la ricerca dimostra sicuramente che la variante è più contagiosa, e questo potrebbe spiegare almeno in parte perché alcuni paesi hanno contenuto efficacemente il virus nella prima fase e meno nella seconda. “Il contenimento potrebbe essere diventato più difficile rispetto alla prima ondata. Forse quello che si faceva prima non basta più, perché il nemico non è più lo stesso”.

La comparsa della variante 614G ha prodotto un ampio dibattito scientifico, ma anche uno scaricabarile politico. Funzionari governativi di Vietnam e Thailandia, che hanno contenuto efficacemente il virus all’inizio dell’anno, hanno affermato che le ondate successive potrebbero essere state causate dalla mutazione. “La Thailandia ha tenuto entrambe le varianti sotto controllo con la rigida quarantena dei rimpatriati, il divieto d’ingresso ai turisti stranieri, l’obbligo di mascherina e altre misure”, spiega Thira Woratanarat, della facoltà di medicina della Chulalongkorn university di Bangkok. “Ma ora la situazione è preoccupante. La seconda ondata è in corso anche in paesi come Vietnam, Corea del Sud e Giappone, dove la situazione sembrava sotto controllo”.

Da sapere
La variante inglese

◆ Il 15 dicembre 2020 il segretario alla salute britannico Matt Hancock ha segnalato la presenza di una variante del sars-cov-2 che circola nel sudest dell’Inghilterra. La variante dipenderebbe da una serie di mutazioni tra cui la N501Y, che modifica la proteina spike, usata dal virus per entrare nelle cellule dell’ospite e dai ricercatori come bersaglio dei vaccini. Al momento, scrive New Scientist, non ci sono prove che questa variante renda il virus più trasmissibile né che aggravi la malattia.


Altri ricercatori, invece, attribuiscono la responsabilità della seconda ondata soprattutto alla mancanza di misure di contenimento efficaci. “In molti paesi i provvedimenti sono stati insufficienti”, dice Kári Stefánsson, fondatore dell’azienda islandese di analisi del genoma deCode Genetics. “Non è serio dare la colpa al virus ignorando le proprie responsabilità”.

Per uno dei nuovi studi un’équipe di ricerca britannica ha goduto di un vantaggio unico: ha potuto attingere al più grande database mondiale di sequenze genomiche del nuovo coronavirus, il Covid-19 genomics Uk consortium, confermando che, almeno nel Regno Unito, la variante si è imposta grazie alla velocità di diffusione. “Dallo studio dei cluster è emerso che la variante 614G è più veloce”, spiega il coordinatore dello studio Erik M. Volz, ricercatore del Medical research council center for global infectious disease analysis dell’Imperial college di Londra. I dati raccolti hanno permesso ai ricercatori di osservare la crescita dei cluster infettati, uno accanto all’altro, come se fosse una corsa di cavalli. Il risultato è chiaro: la variante 614G ha vinto nettamente. La differenza di velocità non può essere quantificata esattamente, ma probabilmente il tasso di crescita esponenziale si aggira intorno al 20 per cento in più. “È un’ottima ricerca, e fornisce ulteriori prove della maggiore contagiosità della variante rispetto all’originale”, dice la ricercatrice Katharina V. Koelle, professoressa associata di biologia della Emory university, negli Stati Uniti.

Un’équipe coordinata da Ralph Baric, dell’università del North Carolina, ha testato virus vivi confrontando la variante 614G con l’originale, scoprendo che quelli mutati erano più infettivi nei campioni di tessuto bronchiale e nasale umano, probabilmente le fonti di trasmissione principali. In un altro studio, su Science, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che la variante era più contagiosa nei criceti quando gli esemplari infetti si trovano a pochi centimetri di distanza. I test sugli animali sono importanti per capire se una mutazione che rende i virus più contagiosi in provetta si comporta nello stesso modo in una popolazione. L’équipe di Baric ha sistemato alcune gabbie con criceti infetti ad alcuni centimetri di distanza da altre con criceti sani, in modo da evitare qualunque contatto. L’eventuale contagio poteva quindi avvenire solo per via aerea, sotto forma di goccioline o aerosol. Dopo due giorni cinque criceti su otto erano stati infettati da quelli con la variante 614G, mentre nessun criceto era stato infettato da quelli con la versione originale. “Mettendo insieme i dati, emerge un quadro coerente con una variante del virus più contagiosa”, spiega Baric.

Secondo Engelthaler, il virus continuerà a mutare e quasi tutte le varianti saranno ininfluenti, ma alcune potrebbero essere significative: “Non possiamo escludere alterazioni in grado di modificare la natura della pandemia”. Lo scienziato ha già individuato alcuni indizi nei dati, non ancora pubblicati, che riguardano le diverse varianti in Arizona. “Dobbiamo ascoltare il virus”, conclude. ◆ sdf

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1389 di Internazionale, a pagina 107. Compra questo numero | Abbonati