Per anni la provincia di Pesaro e Urbino è stata protagonista di una lotta amministrativa senza precedenti per stabilire se solo una fosse il capoluogo di provincia oppure se le due città stessero su un piano di parità. Il fatto che dal 2024 condividono lo status di capoluogo non deve distrarre dal paradosso iniziale: chiamare una provincia Pesaro e Urbino è coerente quanto chiamarla Mata Hari e madre Teresa di Calcutta. A Pesaro ci sono spiagge, tatuatori, alberghi e negozi. Urbino, invece, fa subito venire in mente l’entroterra, il raccoglimento, l’università e i palazzi. La scelta della formula Pesaro e Urbino può comunque essere considerata una soluzione felice perché racchiude tutto quello che le Marche hanno da offrire, dall’Appennino all’Adriatico.

Qualcuno ha definito Urbino “la città equidistante” per indicare che è ugualmente lontana da ogni luogo. Può essere una scocciatura quando ci si deve spostare per lavoro, ma è un vantaggio per chi arriva a Urbino solo per visitare la città: il turismo è così poco e la sensazione di stare fuori del tempo così forte che non ci si stupirebbe di imbattersi in un calzolaio che lavora in strada davanti al suo negozio.

Nel caso di Urbino possiamo anche essere immuni alle iperboli e abituati alle bellezze dell’Italia ma appena si arriva in piazza Rinascimento, di fronte al palazzo Ducale, si capisce subito che è uno dei luoghi più belli del mondo. È l’essenza del rinascimento. Una foto può dirci qualcosa sulla bellezza di un quadro, ma non potrà mai trasmettere la monumentalità e il senso dello spazio del progetto urbanistico voluto dal duca di Montefeltro. Si prova la stessa combinazione di bellezza e smarrimento che si ha quando si ammira piazza del Campo a Siena. In questo caso però la visione può essere accompagnata dalla nebbia e dal freddo. A Urbino nevica spesso e d’inverno nella piazza si possono vedere al massimo un paio di ragazzi che l’attraversano con lo zaino in spalla, diretti all’università.

Rinascimento puro

Data l’urbanistica che sfiora l’utopia, è perfettamente logico che la Galleria nazionale delle Marche ospiti il dipinto Città ideale, un altro esempio di puro rinascimento. Urbino premia inoltre chi sale verso la fortezza Albornoz con uno splendido panorama sulla città.

Ogni città italiana ha un suo caffè caratteristico, ma Urbino, pur così piccola, ne ha due, uno accanto all’altro: il Basili e il caffè degli Archi, con un’insegna Campari capace di sintetizzare ogni desiderio o nostalgia dell’Italia. Sono bar informali dove si mangia la crescia (un tipo di focaccia diffuso nelle Marche e in Umbria) farcita di solito con casciotta d’Urbino e prosciutto di Carpegna. Se dopo la crescia vi resta incredibilmente ancora fame ci sono i tipici passatelli in brodo, una delle ottocento ricette canonizzate nell’ottocento da Pellegrino Artusi, che secondo alcuni con i suoi libri di cucina fece di più per l’unità d’Italia di Giuseppe Garibaldi con la partecipazione ai moti rivoluzionari.

Un buon posto dove mangiare i passatelli è la trattoria del Leone, dove il rilevatore di italianità raggiunge vette altissime. I passatelli sono un piatto condiviso con la Romagna.

Mentre uno dei piatti più noti di Pesaro, passando all’altro capoluogo, è la pizza Rossini, che se fosse stata inventata fuori dell’Italia avrebbe scatenato una tempesta di anatemi: non contiene ananas, ma uovo sodo e maionese. A volte a completare il crimine la maionese disegna una chiave di violino in onore di Rossini, grande compositore e famigerato (mi si passi il termine) mangione, oltre che personaggio locale di fama universale. È una pizza che si può mangiare solo a Pesaro, praticamente ovunque.

I nostalgici, o forse solo i più anziani, ricorderanno Pesaro per la Scavolini Pesaro che, con Walter Magnifico in testa, ci regalò tanti minuti di buona pallacanestro alla fine degli anni ottanta. Pesaro può sembrare una località di cui si può fare a meno, ma sarebbe un peccato. Sul lungomare si snoda un lunga fila di alberghi dai nomi altisonanti (Bristol, Savoy, Excelsior, Vienna) e dai prezzi modici, omaggio alla malinconia costiera quando sono affollati in estate e ancora di più quando sono chiusi in inverno.

Pesaro ha anche alcune strade colorate, una piazza, quella del Popolo, con un bar che serve il verdicchio di Umani Ronchi e, sempre in onore di Rossini, un buon teatro lirico e diversi ristoranti dove andare una volta e ricordarne molte altre. Tra i ristoranti più recenti c’è Lo scudiero, mentre l’osteria La guercia fa parte di quelli tradizionali. Il caffè si può prendere al Barrier, che è lì da vent’anni, ma sembrano duecento.

Lontano dai miti di Venezia, dalla moda della Croazia o dall’irruzione dell’Albania, verrebbe voglia di chiamare quello che vediamo tra Pesaro e Ancona il vero Adriatico: un mare dalle acque stagnanti, color metallo, con spiagge larghe e apparentemente infinite e una nebbia sottile e permanente. Non è un mare dove si pesca molto né un mare di turismo sfarzoso. Sembrerebbe un mare modesto se non fosse per gli eccessi festaioli delle sue notti e delle sue albe famose.

Dopo l’alba sull’Adriatico non sarà sempre facile capire se è mezzogiorno o se sono le sei del pomeriggio perché d’inverno il grigio, la nebbia, le spiagge deserte e un silenzio molto particolare rendono gli spazi indefiniti e i contorni incompleti. Ne ho parlato con le persone che ho incontrato e sono tutte d’accordo: l’Adriatico è metafisica.

Scalinata teatrale

Arrivare ad Ancona significa tornare al mondo reale e concreto delle cose: c’è un punto della città da cui si possono vedere contemporaneamente una cattedrale romanica, dei cantieri navali, un porto merci e uno straordinario arco di Traiano.

Quest’omaggio all’operosità umana basterebbe da solo a rendere interessante la città. Ancona, però, è stata da sempre considerata più una città importante che bella: la porta d’oriente dell’impero romano e repubblica senza la fama di Venezia o Genova, anche se l’impronta più profonda è quella del dominio pontificio. Basti pensare che la piazza del Plebiscito è ancora chiamata piazza del papa.

Viene da chiedersi se la reputazione di Ancona non abbia a che fare con il fatto di aver mescolato molte caratteristiche senza un tratto predominante. È una città di mare e portuale, ma anche industriale e di piccoli commercianti. Ha ancora qualcosa di levitico ed egocentrico, forse il lascito di tanti anni di presenza papale. Qui le chiese non sono solo un luogo da visitare: sono frequentate tutti i giorni, come i caffè, e se qualcuno vuole soddisfare questa esigenza forse potrà farlo nella chiesa di San Francesco alle Scale e al caffè Alla tazza d’oro.

Un’alternativa è una pasticceria con uno dei nomi più belli che ricordi: Moldavia dal 1920. La pasticceria Moldavia si trova, com’è giusto che sia, nell’elegante zona ottocentesca di Ancona, che ci porta a un belvedere che ha un certo sapore novecentesco. A sottolineare che è stata anche una città borghese. Da lì, quando la nebbia dell’Adriatico si alza, si può ammirare la spiaggia del Passetto o, direttamente, prendere il telo da mare e scendere attraverso una scalinata molto teatrale. Perché un’altra bellezza di Ancona sta nella geografia che l’ha modellata attraverso scogliere, fondali naturali, lingue di sabbia e un monte, il Conero, che all’orizzonte. Per non diventare troppo metafisici, va detto che all’ombra del Conero si produce un eccellente montepulciano.

Il bar di Umani Ronchi al Grand hotel palace è il posto migliore per bere questo vino e poi dormirci sopra. Un’altra possibilità è abbinargli lo stoccafisso della taverna marinara Sot’aj Archi o la zuppa di pesce che nelle Marche chiamano brodetto e che contiene più tipi di pesce di un acquario. Il suo colore rosso acquoso ricorda un po’ quello di alcune strade di Ancona nei giorni di sole.

Oppure lo si può bere al Liberty cocktail lounge, dove stabilire se proclamare ad alta voce le bellezze di Ancona o se tenersele strette. ◆ fr

Ignacio Peyró è un giornalista e scrittore spagnolo. Dal 2022 dirige l’istituto Cervantes di Roma.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1613 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati