Gli Oscar Mondadori ripropongono il bel romanzo di Enrico Emanuelli sulla Somalia degli anni cinquanta, Settimana nera, presentato da Igiaba Scego, e vale sempre la pena di rileggere il grande romanzo di Flaiano sulle nostre infamie nel Corno d’Africa, Tempo di uccidere (premio Strega nel 1947), e i bei romanzi dell’etiope-bolognese Gabriella Ghermandi, come quello di Giulia Caminito di qualche anno fa, sul “dopo”, mentre sono quasi dimenticate le grandi prove di Nuruddin Farah, somalo. E ora Einaudi traduce dall’inglese, per mano di Anna Nadotti, un romanzo forte, originale e appassionante di una scrittrice nata in Etiopia, che evoca la tragedia dell’invasione fascista e la resistenza eroica di un popolo (si veda anche Il Negus, reportage “storico” del grande Kapuściński). Doppio è il punto d’osservazione scelto da Mengiste, quello etiope e quello italiano. Ma sono soprattutto lo sguardo e l’esperienza delle donne a contare, il loro eroismo armato o disarmato. È un romanzo importante per noi italiani: duro, rispettoso e attendibile; e non compiacente verso i limiti della cultura maschile d’ogni paese. Mengiste ha sentito cento volte le storie di quel tempo, ma si documenta ed evita la retorica. Romanzo e storia, sotto il profilo della coscienza di oggi ma anche delle donne, di sempre. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1408 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati