La platea di letterati si aggira sudaticcia tra i giardini di villa Giulia, Anna Foglietta monologa sul valore della lettura “a prescindere” e la sedia rimane orfana del ministro Giuli che non ha ricevuto i libri che lui avrebbe sicuramente letto. La serata del premio Strega (Raitre) scorre fiacca e offre ad alcuni scrittori il pretesto per tornare sulla più antica delle questioni: perché la tv non ama i libri? Perché empatizza con la musica, il gossip, l’attualità, ma di fronte alla letteratura arretra impaurita? Domande fragili. Semmai è il contrario: la tv adora i libri, li venera, li indossa come foglie di fico per espiare la colpa dell’intrattenimento leggero. Non c’è trasmissione, dal salotto di Fazio a Domenica in, da Marzullo a Maria De Filippi, che non dedichi minuti alla promozione editoriale, sbandierando trame e titoli. E allora perché questa frustrazione tra gli addetti ai lavori? Disse Alessandro Baricco, ambasciatore assoluto del piacere letterario presso le masse: “Deportati nell’ecosistema del piccolo schermo i libri perdono la loro identità originaria diventando puri e semplici frammenti di cultura televisiva”. La tv vince sopra ogni identità. L’esempio degli chef, che hanno imparato a offrire le ricette al gioco dell’effimero, potrebbe valere per gli scrittori: più che servita, la letteratura andrebbe impiattata, proposta al pubblico con lo stesso gaudioso sguardo con cui Cannavacciuolo accompagna il suo pasticcio di triglie. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1622 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati