Cos’è l’Eternity che dà il titolo a questa serie geniale? È un mondo sospeso all’infinito, in eterno, nella temporalità postmoderna, un limbo ciclico e atemporale dal quale non usciamo realmente, quello di una Roma dei paparazzi e degli scrittorucoli cinicamente mostruosi fino al parossismo. Proseguendo l’esplorazione della realtà simulacro di Fondazione Babele di Semerano e Nizzoli (Internazionale 1231), di un postmoderno che ricicla e svuota dell’essenza ogni cosa – e di cui l’ultima deriva sono il vintage e il rétro – Bilotta dimostra la grandezza del suo talento nel mantenere tutta la gravità della morte, la cui angoscia sovrasta l’intera serie, anzi l’intera sua opera. In questo è una sorta di proseguimento di Dylan Dog, di cui Bilotta è uno dei sceneggiatori e che resta forse l’unico fumetto popolare europeo che affronti la tematica tabù dell’angoscia della morte con un pubblico di adolescenti. Ma la sbalorditiva scorrevolezza del découpage, l’humour noir caustico, il senso ludico che la pervade, rendono piacevolissima la lettura delle vicende del paparazzo, orribile egomaniaco, Alceste Santacroce, al quale disegnatori e coloristi conferiscono straordinarie atmosfere nella pirotecnia di una sorta di psichedelia vintage. Come in questo settimo episodio, L’impresa un po’ presuntuosa della resurrezione, dove il nostro squisito cinico si trova a dover risorgere. Imparerà finalmente la saggezza?

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Questo articolo è uscito sul numero 1632 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati