Mattotti, autore della ricerca dell’estasi e dell’assoluto spesso mediante l’esplorazione dell’inquietudine e degli opposti – quasi la dialettica filosofica della cultura orientale, lo yin e lo yang – arriva qui a una nuova svolta del suo lavoro, una sorta di sintesi. Inland empire (2006), l’ultimo lungometraggio di David Lynch, è forse la quintessenza del suo cinema, un cinema dell’inquietudine che esplora il mondo dell’oscurità come fosse una magia. Lì la ricerca diventa radicale, una sorta di deambulazione, quasi sonnambula, negli anfratti, negli interstizi più bui del nostro inconscio. Mattotti riunisce in questo volume le due anime del suo lavoro, la luce e l’ombra, e le accosta: il mostro nascosto nelle pieghe del segno nero (l’ombra) e la visione angelica veicolata dal segno pittorico (la luce). Del resto, lo yin e lo yang sono interdipendenti. Al tempo stesso è tutto più sfumato e sfaccettato, perché le visioni del colore, come quelle fondate sui chiaroscuri, sono non di rado ambigue, in un senso o nell’altro. Evidente anche nelle varianti di uno stesso motivo, come il meraviglioso Viandante/Van Gogh della copertina. Matite colorate, pastelli, pitture, disegni perfetti e altri che sembrano bozzetti: in questa sorta di laboratorio di una sintesi del suo lavoro e insieme scontro dialettico, Mattotti non è mai stato così libero di muoversi, come un bambino felice nel suo mondo degli opposti.

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Questo articolo è uscito sul numero 1407 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati