L’autore, scomparso nel 2007, era figlio di povera gente di campagna della prefettura di Fukushima. Nei primi due racconti degli anni ottanta che aprono l’antologia racconta, con alle spalle studi di fisica nucleare, di quanto fosse catastrofica la gestione interna della centrale nucleare poi travolta dal terremoto e dallo tsunami nel marzo 2011. Mettendo al centro gli operai, tra cui molti precari, miscela vari registri narrativi. Come rilevato nelle postfazioni, nella sua opera è data centralità ai marginali, che si tratti di operai, contadini o anche spiriti e demoni come i Kappa e i Tanuki, raccontati come fossero reali e, per quanto temuti, tutt’uno con gli esseri umani, soprattutto i più emarginati. Nella maggioranza dei racconti qui riuniti, realizzati nei primi anni settanta, domina però il mondo rurale. Antropologico, sociologico, politico, l’autore si fa poeta della condizione umana prima di tutto per mezzo del suo segno grafico. Preciso e delicatissimo, potremmo dire in punta di pennino, delinea espressioni del volto e paesaggi con la stessa maestria con cui gestisce il procedimento fondamentale della sottrazione grafica per suggerire l’invisibile. Esercitando con maestria il calligrafismo disegnato, centrale in tutta la storia del fumetto, offre un grande esempio di come scrittura e disegno nel miglior fumetto siano la stessa cosa. Come diceva Hugo Pratt: “Disegno la mia scrittura e scrivo i miei disegni”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1402 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati