Questa volta non si tratta solo dei “soliti sospetti” filorussi: anche due paesi chiave dell’Unione europea si oppongono agli aiuti per l’Ucraina: l’Austria blocca ulteriori sanzioni contro la Russia, mentre il Belgio solleva obiezioni sui nuovi finanziamenti miliardari a Kiev. In gioco c’è la stabilità della zona euro e una possibile bancarotta ucraina.

“Se non l’aiutiamo, Kiev rischia il collasso finanziario”, dice un funzionario dell’Unione. Già nel secondo trimestre del 2026 potrebbe diventare insolvente. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale (Fmi) nei prossimi due anni allo stato ucraino mancheranno sessanta miliardi di dollari, a cui si aggiungerebbero almeno altri ottanta miliardi per armi e munizioni. In condizioni normali potrebbero intervenire l’Fmi, la Banca mondiale o gli Stati Uniti. Ma poiché il presidente americano Donald Trump si rifiuta di pagare o garantire fondi per l’Ucraina, ora è l’Unione ad aiutarla.

La Commissione europea ha proposto di concedere a Kiev un nuovo prestito da 140 miliardi di euro, usando i beni russi congelati. Ma il Belgio non è d’accordo. Il motivo è che un prelievo dalla società dove sono depositati i fondi – l’Euroclear, che ha sede in Belgio – potrebbe far vacillare la fiducia degli investitori internazionali, proprio mentre il paese stesso è fortemente indebitato. “Confiscare i soldi di Putin e restare soli a sostenere il rischio è fuori discussione”, ha avvertito il premier Bart De Wever. 

Il Belgio non è l’unico paese europeo ad avere dei dubbi. Anche Italia, Francia e Lussemburgo ne hanno. Temono per la stabilità dell’euro e per le proprie finanze pubbliche, dato che il prestito all’Ucraina sarebbe garantito dai 27 stati dell’Unione. Per questo nell’ultima riunione dei ministri delle finanze europei anche l’Italia è stata prudente. Il tedesco Lars Klingbeil ha cercato di placare gli animi: “Sono sicuro che alla fine riusciremo a far pagare Putin per la sua guerra”. Ma neanche lui ha potuto presentare una soluzione concreta per le questioni più divisive. 

Sul campo

◆ Nella notte del 13 ottobre 2025 i droni ucraini hanno colpito il più grande deposito di petrolio russo a Feodosia, in Crimea,
innescando un enorme incendio, riferisce
il Kyiv Independent. È il secondo attacco in una settimana contro il centro, considerato cruciale per il rifornimento dei militari russi al fronte.

◆ Il 10 ottobre le guardie di frontiera estoni hanno avvistato diversi soldati in uniformi prive di mostrine nell’area detta stivale di Saatse, una parte di territorio russo che s’incunea in Estonia. L’incidente, sottolinea il quotidiano estone Postimees, ha riacceso il dibattito sulla minaccia che incombe sugli stati baltici.


Accordo lontano

Al prossimo vertice del consiglio europeo, il 24 e 25 ottobre, non c’è da aspettarsi una svolta, si dice a Bruxelles. Probabilmente ci si limiterà ad affidare un mandato alla Commissione, sostiene un diplomatico. Per il cancelliere tedesco Friedrich Merz sarebbe un duro colpo: a settembre aveva caldeggiato il maxiprestito all’Ucraina, ma ora la sua iniziativa rischia di arenarsi. Le difficoltà non dipendono solo dal Belgio e dagli altri paesi prudenti: il piano solleva anche enormi problemi giuridici. Per accedere ai beni russi congelati l’Unione non solo dovrebbe violare il principio del diritto all’immunità degli stati, sancito da norme internazionali. Si tratterebbe anche di modificare il regime di sanzioni che aveva originariamente consentito il congelamento dei fondi.

Ma per questo ci vorrebbe una decisione unanime e un consenso simile è molto lontano. Ungheria e Slovacchia si opporrebbero di sicuro, ma anche altri paesi potrebbero farlo. Al momento l’Unione non riesce ad approvare nemmeno il diciannovesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, dato che l’Austria dice di no. Vienna preferisce evitare che il gruppo bancario austriaco Raiffeisen, già in difficoltà con i tribunali russi, subisca ulteriori danni, e per questo mette in stallo le nuove sanzioni europee. Anche in questo caso, una soluzione non è in vista. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1636 di Internazionale, a pagina 31. Compra questo numero | Abbonati