Il 29 marzo 2021, dopo essere rimasta bloccata nel canale di Suez per quasi una settimana, la nave cargo Ever Given è stata disincagliata. A quel punto l’attenzione del mondo, rapita per giorni dalla navigazione globale, si è rivolta altrove. È una vergogna, perché la Ever Given e il suo equipaggio non hanno ripreso il loro viaggio, ma sono stati sequestrati dalle autorità egiziane. Il loro non è un caso isolato. In tutto il mondo molti marinai restano bloccati a bordo perché i proprietari delle navi e i governi non riescono a risolvere i loro conflitti. Secondo l’Autorità del canale di Suez (Sca), il capitano della Ever Given ha fatto degli errori nel suo sventurato viaggio, mentre il proprietario sostiene che la Sca non avrebbe dovuto permettere alla nave di entrare nel canale nel pieno di una fortissima tempesta di sabbia. È in gioco un risarcimento da 550 milioni di dollari, preteso dalla Sca. Finché non sarà stabilito di chi è la colpa, l’equipaggio non può muoversi.

Le navi cargo vengono spesso sequestrate dai governi: in alcuni casi in seguito a controversie sui servizi e i pagamenti; in altri casi, come in Australia, perché le autorità vogliono assicurarsi che rispettino le norme ambientali globali e quelle sulle condizioni di lavoro dei marinai (se accertano delle infrazioni, le trattengono in porto); in altri casi ancora i governi sequestrano le navi per ragioni geopolitiche. È successo alla Stena Impero, una nave di proprietà svedese ma battente bandiera britannica: nel 2019 è stata bloccata dall’Iran, a quanto pare in risposta al sequestro da parte del Regno Unito di una petroliera iraniana sospettata di aver violato le sanzioni dell’Unione europea sulla Siria. In tutti questi casi i marinai hanno dovuto aspettare a bordo che altri decidessero il destino della loro nave. Possono anche volerci degli anni, e a volte non si arriva mai a una decisione. Il proprietario, per esempio, può concludere che non vale la pena di lottare per una nave e l’abbandona. “Di recente abbiamo trattato il caso di un equipaggio, formato interamente da siriani, la cui nave era ancorata al largo di Mombasa”, racconta Ben Bailey, dell’ong Mission to seafarers. “Ci siamo occupati di loro rifornendoli di provviste, acqua e carburante per i generatori. Nell’attesa non ricevevano lo stipendio. Bisogna considerare che molti marinai vengono da paesi in via di sviluppo e hanno delle famiglie da sostenere”. Secondo l’International chamber of shipping, la principale organizzazione marittima mondiale, la maggior parte dei marinai di basso livello arriva dalle Filippine, seguite da Cina, Indonesia, Russia e Ucraina. Il maggior numero di ufficiali proviene dalla Cina, oltre che da Filippine, India, Indonesia e Russia.

Nel 2020 c’erano circa 400mila marinai che non potevano tornare a casa

Gli equipaggi finiti in questo limbo sono letteralmente bloccati: anche se una nave sequestrata di solito è ancorata in un porto, i membri dell’equipaggio non possono lasciarla. La situazione è ancora peggiore per gli equipaggi delle navi abbandonate, che non hanno idea di quando potranno essere liberati. Finché restano a bordo, i proprietari delle navi in teoria dovrebbero pagarli, ma di solito quelli senza scrupoli rifiutano di farlo. È il caso della Azraqmoiah, una nave cargo abbandonata al largo delle coste degli Emirati Arabi Uniti per un anno e mezzo. Quando i proprietari si sono finalmente fatti vivi, il capitano e i due membri dell’equipaggio rimasti sono stati pagati, ricevendo però solo l’80 per cento del dovuto. “Non c’è alcuna garanzia che l’abbandono di una nave si risolverà”, sottolinea Bailey. “In alcuni casi i proprietari sono una piccola compagnia, magari sull’orlo del fallimento, che abbandona deliberatamente la nave per poterla rottamare. In altri casi sono compagnie serie che stanno attraversando un periodo di difficoltà”. Il prezzo più alto, però, lo pagano sempre gli equipaggi.

Nella banca dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro sulle navi abbandonate ci sono innumerevoli storie come questa. La Axis, una nave battente bandiera panamense, è arrivata al largo delle coste del Benin nell’ottobre del 2018. Una volta raggiunto il porto di Cotonou, i nove membri dell’equipaggio – quattro pachistani, due filippini e tre ucraini – hanno informato le autorità locali che erano a corto di provviste, acqua e carburante e che non erano pagati da tre mesi. A dicembre l’equipaggio era fermo in Benin e i due filippini erano ancora sulla Axis. Nove marinai azeri e tre russi, invece, sono bloccati da due anni a Istanbul sulla Bakhtiyar Vahabzade, battente bandiera maltese. La nave ha finito acqua e carburante da tempo e l’equipaggio non è pagato da un anno e mezzo. Il proprietario, l’azienda turca Palmali, è introvabile. Attualmente risultano abbandonate tredici navi della Palmali, che deve a 150 marinai e ufficiali 3,2 milioni di dollari in salari.

Tutto questo naturalmente è illegale. La Convenzione sul lavoro marittimo del 2006 regola ogni aspetto del lavoro dei marinai, ma è stata ratificata solo da 97 paesi. Le compagnie disoneste che vogliono abbandonare le loro navi sanno quali porti appartengono a paesi che non hanno ratificato la convenzione, per esempio gli Emirati Arabi Uniti. Ma, come ha spiegato Victoria Mitchell, esperta di diritto marittimo della società di valutazione rischi Control Risk, anche se la tua nave è stata abbandonata nel porto di un paese che ha ratificato la convenzione, “cosa si può fare? Se hai bisogno di sbarcare per contattare un avvocato, puoi farlo? Potresti non avere il permesso di sbarcare se non hai documenti validi, e poi ci sono i problemi legati alla lingua. C’è anche una questione di informazione, perché per denunciare il tuo datore di lavoro devi conoscere i tuoi diritti”.

Nitrato di ammonio

Ma chi aiuta i marinai? I buoni samaritani non sono molti. “Nel caso di navi abbandonate, nessuno si sente responsabile”, spiega Simon Lockwood, esperto di diritto marittimo per la società d’intermediazione assicurativa Willis Towers Watson. “Bisogna vedere chi è il primo a reagire o chi si sente più in difficoltà”. Il 4 agosto 2020 un carico di nitrato di ammonio immagazzinato in un hangar nel porto di Beirut è esploso provocando la morte di quasi duecento persone, il ferimento di circa seimila e danni enormi alla città. Le quasi tremila tonnellate di nitrato di ammonio erano in quell’hangar perché il proprietario della nave, un cargo battente bandiera moldava partito dalla Georgia e diretto in Mozambico, aveva perso interesse nell’imbarcazione dopo che quest’ultima aveva avuto dei problemi tecnici a Beirut. Gli avvocati libanesi erano riusciti a far liberare l’equipaggio, e le autorità locali si erano comportate in modo responsabile, sbarcando le sostanze chimiche esplosive. A quanto pare però le avevano dimenticate nell’hangar.

La disperazione di trovarsi su una nave con un piccolo gruppo di altre persone, senza soldi e senza qualcosa da mangiare, acqua potabile o altre provviste, ha spinto alcuni marinai al suicidio. A gennaio si è tolto la vita un marinaio indiano bloccato da tredici mesi su una nave che trasportava bitume. “Immaginate di restare bloccati con le stesse dieci persone per mesi”, afferma Lockwood. “Nella navigazione la vita umana diventa spesso una merce. Le compagnie serie si prenderanno sempre cura dei loro equipaggi, ma in questo settore c’è anche un lato oscuro”.

La situazione degli oltre 1,6 milioni di marinai che nel mondo sono al servizio dell’economia globale è stata aggravata dal covid-19. “A un certo punto nel 2020 c’erano circa 400mila marinai che non potevano tornare a casa”, racconta Guy Platten, segretario generale della International chamber of shipping. “Molti erano bloccati perché le regole sul covid-19 impedivano alle persone di viaggiare”. Alla fine l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione con cui i paesi s’impegnavano ad aiutare i marinai a tornare a casa. Poco dopo le organizzazioni marittime hanno lanciato la Dichiarazione di Nettuno, con cui garantivano che gli equipaggi potessero lasciare le navi e andare a casa in aereo dopo la fine del loro periodo di servizio.

Ma la questione non è affatto chiusa. I marinai non hanno avuto un accesso prioritario ai vaccini contro il covid-19. Quando la variante delta, individuata per la prima volta in India, ha cominciato a diffondersi rapidamente, alcuni porti hanno rifiutato di far sbarcare i marinai indiani. “I paesi non vogliono correre rischi, ma vogliono le merci”, osserva Platten. Solo alcune ong si occupano dei lavoratori del settore marittimo. Quando in tutto il mondo non si riuscirà più a reclutare un numero sufficiente di marinai, scopriremo quanto siano assolutamente cruciali per le nostre vite. Per il momento bisogna prestare attenzione a quelli di loro che sono nelle mani di pessimi datori di lavoro. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1414 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati