Sei anni fa, quando è stato inaugurato un ampliamento del canale di Suez lungo 35 chilometri, il progetto è stato presentato come “il dono dell’Egitto al mondo” e celebrato come un trionfo nazionale e un momento di svolta dopo anni di instabilità. Quando il canale di Suez è stato interrotto da una nave portacontainer incagliata, invece, le autorità hanno reagito con il silenzio. Per 26 ore non è stata detta una sola parola a proposito del canale chiuso, delle navi che si ammassavano nel Mediterraneo e nel mar Rosso, o della stessa Ever Given. L’Autorità del canale di Suez (Sca) ha invece annunciato che una nave da crociera italiana con 65 casi di covid-19 a bordo aveva attraversato il canale con successo.

L’informazione è stata oscurata, ma le bugie sono cominciate davvero solo il giorno dopo, con il primo comunicato ufficiale in cui si affermava che “gli sforzi per riaprire il canale continuano”. L’autorità del canale ha sminuito l’impatto sulla navigazione, sostenendo che sarebbe continuata normalmente. La Sca ha esortato i giornalisti a non dar retta alle voci sul più grave incidente che abbia bloccato il canale dalla guerra arabo-israeliana del 1973, e a basarsi solo sulle dichiarazioni dell’autorità stessa. I giornalisti egiziani non avevano bisogno di alcun incoraggiamento per allinearsi. Hanno alimentato la macchina della propaganda, affermando che la nave era stata disincagliata. Hanno persino tentato di dimostrarlo con immagini satellitari, in cui però si vedeva la nave saldamente incastrata. La verità è stata nascosta anche alle compagnie internazionali. La società di trasporti Gulf Agency Egypt, citando l’autorità, riferiva che la nave era stata parzialmente disincagliata e che il traffico sarebbe ripreso a breve.

Il 25 marzo, due giorni dopo l’incidente, la Sca ha annunciato ufficialmente che la navigazione era sospesa.

Il governo egiziano è un esperto bugiardo. Mente ogni giorno al suo popolo, ma nei momenti di crisi mente anche alla comunità internazionale. Nel 2015, quando un aereo passeggeri russo partito da Sharm el Sheikh è stato abbattuto da un missile lanciato dal gruppo Stato islamico, le autorità egiziane hanno attribuito l’incidente a un problema tecnico. Il motivo è chiaro: Sharm el Sheikh è fondamentale per l’industria turistica egiziana. Ci sono voluti tre mesi perché l’Egitto ammettesse la verità.

Ma è difficile continuare a sostenere che una nave delle dimensioni della Ever Given sia stata disincagliata, quando è evidente il contrario.

In cerca di alternative

Questo incidente ha insegnato due lezioni al mondo: quanto sono importanti il canale e l’Egitto per il trasporto mondiale e quanto disastrosa e incompetente sia la gestione di entrambi.

L’incompetenza della dittatura di Al Sisi non rappresenta solo una minaccia per i diritti umani e lo stato di diritto, ma anche per un’importantissima rotta marittima internazionale.

La crisi di Suez non avrebbe potuto arrivare in un momento peggiore. L’incidente motiverà ancora di più i paesi del Golfo a cercare dei modi per aggirare il canale, esportando gas e petrolio attraverso Israele. L’accordo di normalizzazione tra Emirati Arabi Uniti e Israele ha portato una marea di contratti e progetti, ciascuno dei quali rappresenta una minaccia esistenziale per il monopolio dell’Egitto su questo traffico.

Un oleodotto costruito dallo scià di Persia e a lungo dimenticato, un nuovo cavo internet, una linea ferroviaria o perfino un canale attraverso il deserto del Negev: niente poteva accelerare la ricerca di alternative al canale di Suez quanto la reazione egiziana a un incidente di questa portata.

Priorità ignorate

Il regime di Al Sisi mostra una chiara tendenza al declino e al disastro. Al di là di tutte le altre vicende in cui ha invischiato il suo paese (il sostegno alla fazione sbagliata in Libia, la caccia alle streghe contro i Fratelli musulmani in casa e all’estero), Al Sisi aveva due questioni essenziali da affrontare. E ha fallito su entrambe. La prima era il canale di Suez. La seconda era mantenere il livello delle acque del Nilo.

Al Sisi aveva deriso e ridicolizzato il suo capo, l’ex presidente egiziano Mohamed Morsi, quando aveva sollevato dei timori per la diga che l’Etiopia stava costruendo nel 2012. L’esercito egiziano era convinto che la faccenda fosse troppo seria per essere gestita da un presidente dei Fratelli musulmani. Perciò aveva accantonato la faccenda. Nel 2015 Al Sisi aveva complicato il suo errore rinunciando alle rivendicazioni dell’Egitto in un accordo con l’Etiopia e il Sudan. Oggi, poche settimane prima del secondo e definitivo riempimento della diga, pare che Al Sisi stia valutando il ricorso a un’azione mili­tare.

Ormai si sente dire ovunque che l’Egitto è uno stato fallito, che non tiene fede agli obblighi verso i propri cittadini, che ha esaurito le sue risorse, ha un’economia indebolita e saccheggiata dall’esercito e livelli crescenti di povertà, una condizione che affligge decine di milioni di persone.

Ma la comunità internazionale non si è ancora resa conto che Al Sisi è un pericolo non solo per il suo popolo e il suo paese, ma anche per il commercio e la stabilità internazionale. Forse una grande nave incagliata in uno spazio ristretto glielo farà capire. ◆ _ fdl_

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Questo articolo è uscito sul numero 1403 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati