Ogni giorno nel mondo muoiono circa 170mila persone: nel solo 2024 sono stati più o meno 62 milioni. La conseguenza è una vera e propria “crisi delle sepolture”, perché quasi tutte le città in cui questa pratica è ancora la norma esauriranno lo spazio per l’inumazione entro la metà del secolo e alcune molto prima, praticamente adesso.
Metropoli come Londra e Sydney prevedono una grave carenza di spazio nei prossimi dieci anni. I cimiteri di centri più piccoli, come quello di Nuneaton, nel Regno Unito, sono già pieni e hanno cominciato a indirizzare altrove le famiglie. Individuare modalità culturalmente accettabili di onorare i defunti, ma anche eticamente responsabili, accessibili e sostenibili è diventato un tema globale urgente.
Tecniche avanzate
Il settore, invece, ha cominciato solo da poco a prendere in seria considerazione le ricadute ambientali del trattamento riservato ai corpi dopo la morte. L’impellenza coincide con un profondo mutamento culturale, perché ormai la cremazione sta sostituendo la sepoltura tradizionale in seguito alla laicizzazione delle società, ai cambiamenti delle dottrine religiose (tra cui l’abolizione del divieto imposto dal cattolicesimo) e ai costi più contenuti rispetto alla sepoltura. Nel Regno Unito le cremazioni sono passate dal 9 per cento del 1946 all’80,64 per cento del 2023.
Neppure la cremazione, però, è un’alternativa realmente sostenibile, perché provoca il rilascio di grandi quantità di sostanze inquinanti, in particolare anidride carbonica e mercurio, rendendo necessaria una regolamentazione. Tecniche avanzate come la cremazione all’acqua – che scompone tutti i tessuti tranne le ossa mediante una soluzione alcalina a base di acqua – sono emerse di recente e sono ancora poco diffuse.
Studiamo da anni i cimiteri italiani e britannici e nonostante le tradizioni profondamente diverse (in Italia la sepoltura è ancora predominante) i due paesi si ritrovano ad affrontare le stesse sfide ambientali.
Ci sono posti che offrono alternative alla sepoltura tradizionale con un occhio di riguardo all’ambiente. Uno si trova in Liguria, una regione ad alta densità di popolazione che sta subendo in modo particolarmente acuto gli effetti del cambiamento climatico, soprattutto con l’erosione del suolo causata da decenni di sviluppo edilizio costiero irresponsabile.
Qui un gruppo impegnato nel volontariato ambientalista ha fondato Boschi Vivi, il primo cimitero forestale italiano. Anche se prevede la cremazione dei corpi, l’idea è particolarmente innovativa per un paese dove i cimiteri sono tradizionalmente concepiti come strutture monumentali o architettoniche. Spesso fanno un uso massiccio di marmo, riducendo sensibilmente gli spazi verdi urbani. Inoltre l’estrazione del marmo comporta elevate emissioni di gas serra e perdita della biodiversità.
Boschi Vivi invece segue una filosofia diversa. Al posto delle consuete lapidi, accanto a ogni albero intorno a cui vengono sparse le ceneri c’è una piccola targa che segna il luogo dove riposano i defunti.
Lapidi viventi
Al momento è ancora un’iniziativa dal basso, ma comincia a diffondersi anche negli Stati Uniti e in Canada. Poiché i cimiteri tradizionali diventano sempre meno sostenibili, in termini sia economici sia ambientali, c’è da sperare che altre amministrazioni locali italiane seguano questo modello.
Da trent’anni il bosco di Oakfield a Wrabness, nel nord della contea inglese dell’Essex, adotta un approccio simile. Questo bosco di quasi tre ettari ospita un cimitero naturale che corre lungo gli argini del fiume Stour. Invece delle lapidi o dei consueti monumenti funebri, per ogni sepoltura viene piantata una specie autoctona di latifoglia con una semplice targa di legno alla base. Il sito fa parte di una riserva naturale più ampia, che rappresenta un ricco habitat per molte specie selvatiche.
A differenza dei cimiteri urbani o di altri luoghi di sepoltura, spesso soggetti a riedificazione o a riuso, Oakfield gode della tutela dell’Essex wildlife trust grazie a cui è garantito che le sepolture siano permanenti e il sito resti indisturbato. Quando avrà raggiunto la capienza massima, il fondo fiduciario ha intenzione di trasformarlo in una riserva naturale, anche se questo non succederà prima di vari decenni.
Niente è per sempre
Nonostante queste promettenti iniziative, però, senza un ripensamento generale del tema della sepoltura luoghi come Boschi Vivi e Oakfield rischiano di rimanere casi isolati. Che i cimiteri siano percepiti come spazi sinistri e macabri – si pensi all’Amleto di Shakespeare – o come luoghi di pace e riconciliazione – si pensi all’ultima scena di Forrest Gump – l’idea dominante è che le tombe devono essere segni permanenti della vita degli individui.
Dalla nostra ricerca emerge che la crisi delle sepolture si può scongiurare solo considerando l’umanità parte della natura, quindi passando dall’ethos antropocentrico o “egologico” a quello ecologico.
La risposta più concreta alle sfide ambientali, che riguardano non solo il cimitero di Nuneaton ma i luoghi di sepoltura di tutto il mondo, potrebbe essere una nuova consapevolezza che riconosca la vita e la morte come parti integranti della natura. In tal modo la memoria non si preserverebbe più mediante la permanenza, ma con il ritorno al ciclo naturale della vita. ◆ sdf
Daniela Pianezzi è professoressa associata di organizzazione aziendale all’università di Verona. Melissa Tyler è professoressa ordinaria di organizzazione aziendale all’università dell’Essex, nel Regno Unito.
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Questo articolo è uscito sul numero 1612 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati