Al di là dell’evoluzione di Morrissey e delle sue opinioni, viviamo in tempi per cui se uno sconosciuto dovesse avvicinarci per strada e dirci “it takes strenght to be gentle and kind” come cantava lui in I know it’s over degli Smiths, verrebbe voglia di prenderlo a pugni, per tutto quello che sta succedendo, per il non saper dove andare e come canalizzare questa rabbia se non in azioni collettive. Ai Fine Before You Came non abbiamo chiesto sempre la rabbia, ma per molti anni ce la siamo aspettata, anche perché la loro musica permetteva la straordinaria sincronia tra un’intimità fatta a pezzi e un disallineamento politico e collettivo legato alle città andate a male, a un brutalismo del vivere per cui bisognava faticare il triplo per trovare una forma sostenibile senza irrigidirsi in uno schema. Sono dimensioni che quando stanno insieme riescono a dare concretezza ai discorsi altrimenti vuoti su cos’è una generazione o uno stile musicale. E questa concretezza loro l’hanno data, per voce, impostazione e talento. Questo non cambia, ma il pugno oggi si apre, l’istinto si placa, la schiena si distende sul letto quando scopriamo che qualcuno ci vuole ancora bene ma non gli piacciamo più, e cosa farsene del desiderio allora. C’è ancora amore (La Tempesta) è un gioiello da tenere stretto in mano senza avere paura di farlo vedere. Cambiano le cose, anche negli assetti dei musicisti con cui siamo cresciuti. Loro restano. È questo restare in mutata forma il senso di tutto. Provateci voi a graffiare senza far sanguinare, trasformando il dolore in tenerezza: è così facile, è così difficile. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1630 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati