Come simbolo della strana serata che il 6 settembre ha concluso l’82a edizione della Mostra d’arte cinematografica di Venezia, all’annuncio del gran premio vinto da The voice of Hind Rajab, tutta la sala si è alzata in piedi applaudendo la regista tunisina Kaouther Ben Hania. Una standing ovation che pochi minuti più tardi non è stata concessa al regista statunitense Jim Jarmusch quando ha ricevuto il Leone d’oro, il premio più importante della manifestazione veneziana, per il suo film Father mother sister brother.

La vittoria di Jarmusch ha colto di sorpresa più o meno tutti, ma evidentemente la giuria presieduta dal regista statunitense Alexander Payne ha voluto ricompensare un film che offre un gioioso contrappasso a una competizione carica di rabbia, di discorsi morali e di crisi d’identità. Una rassegna caratterizzata da film che superano un po’ troppo spesso le due ore e che si contraddistinguono per la prolissità delle loro sceneggiature. Il Leone d’oro 2025 è invece un film “tranquillo”, come l’ha definito Jarmusch, almeno apparentemente “minore”.

L’eterno outsider

Questa antologia minimalista su tre incontri familiari è ironica, tagliente, spassosa e leggera. Nei primi due episodi il regista si è voluto divertire, aiutato da una serie di grandi star (Adam Driver, Cate Blanchett, Charlotte Rampling oltre a Tom Waits e Vicky Krieps), con il disagio che può nascere quando si ritrovano genitori e figli ormai adulti e giocano a fare la famiglia unita. La terza parte invece parla di un rapporto tra gemelli più dolce, che abbandona l’esercizio di stile e raggiunge una maggiore profondità. Questo Leone d’oro è il primo premio importante ottenuto da Jarmusch, eterno outsider del cinema statunitense, in un grande festival.

Dato per favorito, il duro film di Kaouther Ben Hania sulla morte della bambina di Gaza uccisa dall’esercito israeliano, mentre chiedeva disperatamente aiuto al telefono agli operatori della Mezzaluna rossa palestinese, si è quindi dovuto accontentare del Leone d’argento.

“Erano i due film che abbiamo preferito, quelli che ci hanno più colpito, fino alle lacrime. Non potevamo premiarli ex æquo, così abbiamo dovuto fare una scelta”, si è giustificato durante la conferenza stampa dopo la cerimonia di premiazione Alexander Payne. Il presidente della giuria ha aggiunto che lo scarto tra i due è stato infinitesimale, e ha smentito le voci delle tensioni all’interno della giuria che erano circolate sui social network qualche ora prima.

Father mother sister brother (Yorick Le Saux Vague Notion)

Ma mentre nella cerimonia di apertura era stato evitato ogni discorso politico, durante la serata finale molti dei premiati hanno moltiplicato le loro prese di posizione sulla Palestina e in misura minore sull’Ucraina, chiedendo un ritorno alla pace e alla dignità umana. È stata denunciata anche la sorte drammatica riservata ai bambini, tema centrale di The voice of Hind Rajab. Ibrido tra documentario e fiction, il film fa sentire le registrazioni delle chiamate della bambina, intrappolata in un’automobile accanto ai componenti della sua famiglia, tutti morti, per ottenere aiuto. “Basta!”, ha detto nel suo discorso di ringraziamento Kaouther Ben Hania. “Per me Hind Rajab è il simbolo dei palestinesi. Una voce che chiede aiuto ma alla quale non risponde nessuno. Una voce che il cinema può far sentire attraversando le frontiere”, ha aggiunto.

Gli altri riconoscimenti di questa rassegna confermano la volontà della giuria di premiare film capaci di creare empatia con i loro personaggi. Nessun premio alle favole critiche e violente di Yorgos Lanthimos (Bugonia) e di Park Chan-wook (No other choice), all’angoscia infernale di fronte alla minaccia nucleare di Kathryn Bigelow (A house of dynamite), o al distacco radicale di L’étranger adattato da François Ozon e girato in un bellissimo bianco e nero. Al contrario The smashing machine di Benny Safdie, Leone d’argento per la migliore regia, e À-pied-d’œuvre della francese Valérie Donzelli, premio per la migliore sceneggiatura, sono vicini ai loro protagonisti – un campione di arti marziali miste e un fotografo di successo che reinventandosi scrittore si rassegna a una vita da precario – per cercare di metterne in luce l’umanità.

Pragmatici, i premi per le migliori interpretazioni sono andati alla grande star italiana Toni Servillo, nei panni di un presidente della repubblica in crisi all’avvicinarsi della fine del suo mandato in La grazia di Paolo Sorrentino, e a Xin Zhilei, straordinaria in The sun rises on us all, di Cai Shangjun. In questo film l’attrice interpreta una venditrice di abiti la cui vita cambia quando incontra l’ex amante, finito in prigione dopo essersi preso la colpa di un crimine commesso dal lei. A questi riconoscimenti bisogna aggiungere il premio speciale della giuria al bel documentario di Gianfranco Rosi, Sotto le nuvole, ambientato tra il Vesuvio, i Campi Flegrei e Napoli, anche questo girato in bianco e nero.

Dialoghi impossibili

Tra i film in competizione, oltre all’assenza di premi per The testament of Ann Lee di Mona Fastvold, o per Frankenstein di Guillermo del Toro, si può rimpiangere soprattutto la mancanza di un riconoscimento per Silent friend dell’autrice ungherese Ildikó Enyedi, una favola che si snoda lungo tre linee temporali, unendo ricerche scientifiche e poetiche, con lo scopo di far riflettere sull’alterità, sulla comunicazione, sul rapporto tra la flora e gli esseri umani. Una meravigliosa opera pensata per riaccendere in noi lo stupore per quello che ci circonda.

Osserviamo che questa maniera di far dialogare tra loro varie epoche ha caratterizzato diversi tra i film più interessanti delle altre selezioni, dove abbiamo potuto ammirare Luca Guadagnino con After the hunt o Gus Van Sant con Dead man’s wire. Scarlet, il nuovo film di animazione del giapponese Mamoru Hosoda fa incontrare una principessa del rinascimento ossessionata dall’idea di vendicare il padre e un infermiere del Giappone di oggi in un oltremondo apocalittico, per una riflessione di incredibile ricchezza estetica sul perpetuarsi della violenza e sul perdono.

A sua volta Anoche conquisté Tebas, dello spagnolo Gabriel Azorín, porta quattro ragazzi di oggi, fan di videogiochi e lettori di Reddit, nel mondo minerale delle sorgenti di acqua calda. Attraverso lunghe inquadrature fisse, suoni naturali, alternanza di silenzi e di scene molto dialogate, lo stile del giovane regista è già una certezza. Nell’arco di una notte, di un semplice movimento della cinepresa, la memoria dei soldati dell’antichità s’infiltra nel racconto, e con lei un instancabile desiderio di pace che continua ad attraversare il nostro tempo. ◆ adr

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 85. Compra questo numero | Abbonati