C i sono persone che dicono che riconoscere la Palestina non serve a nulla; che non impedirà al premier israeliano Benjamin Netanyahu di continuare a distruggere Gaza e a rosicchiare, prima di annetterla, la Cisgiordania; che la soluzione dei due stati è morta e sepolta da tempo; che il territorio su cui uno dei due sarebbe dovuto nascere è occupato da coloni armati fino ai denti e convinti di avere un diritto divino su quella terra; che nessun governo israeliano oserà farli spostare; che la Palestina sarà, nella migliore delle ipotesi, un bantustan (le aree create durante l’apartheid in Sudafrica per emarginare la popolazione nera), o non sarà affatto; che senza sanzioni contro Israele tutto questo è solo simbolico; e che Francia, Canada, Regno Unito, Australia, Portogallo e gli altri paesi lo fanno solo per mettersi la coscienza a posto in un momento in cui il popolo palestinese è cancellato sotto i nostri occhi. E hanno ragione.

E poi ci sono persone che pensano che il riconoscimento è un momento storico; che è meglio tardi che mai; che è l’unica iniziativa seria a cui ci si possa aggrappare dopo il 7 ottobre 2023; che la soluzione dei due stati resta, nonostante tutto, la meno irrealistica; che la stragrande maggioranza dei paesi del mondo riconosce lo stato palestinese e questa realtà finirà per isolare Israele e i suoi ultimi alleati; che la soluzione può passare solo attraverso la via diplomatica e politica; che la lotta armata rafforza Israele più di quanto lo indebolisce; e che il principale nemico di Netanyahu oggi non è Hamas, Hezbollah, l’Iran o gli huthi, ma proprio la pace; e che questa minaccia di fare la pace è l’arma principale da usare contro di lui e contro tutti coloro che lo sostengono, come dimostrano le loro reazioni. E non hanno torto.

Infine, c’è chi ritiene che il riconoscimento è un regalo fatto a Hamas; che finge di essere favorevole alla soluzione dei due stati, ma trova sempre una scusa per non riconoscere il diritto all’esistenza di uno dei due stati; che chiude gli occhi sulla colonizzazione; e che è più duro con il presidente francese Emmanuel Macron che con Netanyahu. E non merita nemmeno una risposta.

Essere all’altezza

La dinamica avviata da Macron – che il 22 settembre ha riconosciuto lo stato di Palestina insieme ad altri paesi – è al tempo stesso essenziale e insufficiente, salutare e tardiva, portatrice di speranza e soggetta a critiche. Non deve essere un cerotto da applicare sulla ferita palestinese. Né un oggetto da strumentalizzare per questioni di politica interna. Ma piuttosto l’inizio di un processo che deve andare in crescendo. Devono esserci sanzioni. Poi la pressione internazionale deve raddoppiare. Finché Israele non pagherà il prezzo politico e finanziario della sua campagna di annientamento del popolo palestinese, non avrà motivo di smettere. Anche i paesi arabi hanno un ruolo: dispongono di leve che possono fare pressione sugli Stati Uniti per convincerli a mettere fine alla sfrenata avanzata israeliana.

Reazioni arabe

◆ Il 22 settembre 2025 Francia, Belgio, Lussemburgo, Malta, Principato di Monaco e Andorra hanno riconosciuto lo stato della Palestina durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Il giorno prima l’avevano fatto Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo.

◆ Molti giornali palestinesi hanno accolto la notizia come un trionfo e un riscatto storico. Il quotidiano Al Ayyam scrive: “La vittoria della Palestina, rappresentata dalla disponibilità dei paesi occidentali, fino a ieri sostenitori di Israele, a riconoscere uno stato palestinese indipendente, ha implicazioni decisive che trasformeranno il volto e l’essenza del Medio Oriente”.


Tutto questo non accadrà. Almeno non domani. Lo scenario più probabile è che Israele insulti ancora una volta la pace. Che reagisca annettendo, sotto lo sguardo compiacente degli Stati Uniti, tutta o parte della Cisgiordania. E che chi oggi riconosce lo stato palestinese non sia all’altezza di quello che comporta.

La storia ricorderà forse che il 22 settembre 2025 è stata posata una prima pietra. O che, al contrario, le speranze palestinesi sono state nuovamente deluse, se non addirittura tradite. ◆ adg

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1633 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati