Lo sforzo europeo per aumentare la produzione di munizioni ha trovato un ostacolo politico in Italia, dove le autorità locali s’oppongono a nuove linee di produzione di esplosivi nello stabilimento in Sardegna della Rheinmetall (Rwm), un’azienda tedesca di sistemi per la difesa. La Rwm Italia attende da sei mesi che le autorità sarde autorizzino l’uso di nuove linee di produzione nello stabilimento, che lavora a pieno ritmo per soddisfare le richieste provenienti dall’Ucraina e dagli eserciti di altri paesi europei. L’ampliamento aumenterebbe sensibilmente la produzione dello stabilimento nel comune di Domusnovas.

Ad aprile i tecnici del governo italiano avevano ritenuto accettabili sul piano ambientale le nuove strutture, tra cui il campo di collaudo degli esplosivi. La giunta regionale, guidata dal Movimento 5 stelle, ha chiesto chiarimenti, citando le critiche degli ambientalisti locali e degli attivisti pacifisti. “Quello che dobbiamo chiederci è se vogliamo vivere in un’economia di guerra”, sottolinea Alessandra Todde, presidente della regione, dei cinquestelle. Giuseppe Conte, leader del partito, è contrario al riarmo europeo, che secondo lui sta generando entrate provvidenziali per la Rheinmetall e per altri produttori di armi a scapito della spesa sociale.

Lo stallo evidenzia l’efficacia di un solido movimento ambientalista e pacifista nell’ostacolare l’aumento della produzione di armi europee in Italia, uno dei paesi più industrializzati d’Europa. La vicenda fa parte di una tendenza più ampia che vede i governi europei dirottare il denaro pubblico nella difesa armata per contrastare la minaccia russa e compensare la diminuzione delle garanzie di sicurezza offerte dagli Stati Uniti. La presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni, è una sostenitrice dell’Ucraina e approva l’uso dei fondi europei per aumentare le spese per la difesa in Italia e in Europa contro l’aggressione russa. Il suo partito, Fratelli d’Italia (FdI), ha condannato le posizioni ostruzionistiche del Movimento 5 stelle. Antonella Zedda, parlamentare sarda di FdI, ha parlato di “falso pacifismo”. “Pensano che ‘no armi’ equivalga a ‘no guerre’. Ma anche se smettessimo di produrre armi in Sardegna, le guerre non si fermerebbero di certo”, ha dichiarato Zedda.

Le richieste europee

Secondo Alessandro Marrone, esperto di difesa all’Istituto affari internazionali, l’opposizione popolare sommata alla burocrazia italiana “rendono più difficile aumentare la produzione” nel settore degli armamenti. “Le autorità locali e i partiti contrari alla produzione per la difesa – per motivi ideologici, ambientali o semplicemente per opporsi al governo – hanno molta influenza”, aggiunge Marrone.

La Rheinmetall non ha risposto alla richiesta di un commento.

In un’analisi di costi e benefici del 2023 l’azienda aveva insistito che l’espansione non era “motivata da semplici esigenze di profitto, ma dalla necessità di ampliare le capacità produttive per rifornire le forze armate nazionali, europee e alleate quando necessario, in tempi più rapidi e a costi inferiori rispetto al passato”.

L’azienda tedesca nel 2010 ha acquistato a Domusnovas una vecchia fabbrica di esplosivi per l’industria mineraria sarda cominciando a produrre diverse armi, tra cui munizioni e mine sottomarine. Nel 2018 le autorità locali hanno dato alla Rheinmetall il permesso di aumentare le linee produttive e costruire un piccolo campo di collaudo, con la previsione di assumere altri 250 dipendenti. Le nuove strutture, però, sono rimaste inutilizzate, bloccate dalle cause intentate dalle organizzazioni ambientaliste e pacifiste. Nel 2021 il Consiglio di stato ha ordinato una valutazione approfondita sull’impatto ambientale, dopo che alcuni attivisti avevano sostenuto che il progetto era stato intenzionalmente suddiviso in diverse proposte minori per ottenere un’approvazione accelerata che non richiede valutazioni.

L’ambientalista Graziano Bullegas ha accusato la Rheinmetall di avere un approccio “colonialista”. “Hanno realizzato lo stabilimento senza avere le autorizzazioni, grazie alla complicità delle autorità locali”, accusa. La valutazione ambientale dopo la realizzazione delle opere, approvata dagli esperti, è stata inviata ad aprile al consiglio regionale per una ratifica, ma a settembre il consiglio ha chiesto un parere a dieci diversi dipartimenti governativi. “Il consiglio regionale è in difficoltà perché il Movimento 5 stelle non vuole approvare una delibera che dice ‘si possono produrre armi in Sardegna’”, sottolinea Zedda.

A ottobre l’azienda tedesca ha vinto un ricorso e il Tribunale amministrativo regionale ha ordinato al consiglio regionale di dare una risposta entro 60 giorni, sottolineando che in caso di ulteriori ritardi potrebbe commissariare l’iter decisionale. Se il raddoppio dell’impianto dovesse ricevere il via libera, gli attivisti hanno promesso di proseguire la battaglia legale. “Non vogliamo che una multinazionale venga qui a produrre bombe”, sottolinea Arnaldo Scarpa, insegnante e attivista del Comitato riconversione Rwm, che vorrebbe riportare lo stabilimento all’uso civile.

Secondo Zedda la vicenda è un campanello d’allarme per gli investitori in un momento in cui la Sardegna ha un grande bisogno dei posti di lavoro ben retribuiti che potrebbero derivare dall’aumento della spesa europea. “Il messaggio che stanno inviando i politici sardi è che in Sardegna non si può fare libera impresa se quello che si produce non è gradito dalla comunità. Mettono i bastoni tra le ruote con la burocrazia”, ha detto Zedda. ◆ as

Ha collaborato Giuliana Ricozzi. © The Financial Times Limited 2025. All Rights Reserved. Il Financial Times non è responsabile dell’accuratezza e della qualità di questa traduzione.

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Questo articolo è uscito sul numero 1639 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati