In Italia c’è qualcosa di diverso nell’aria. E non solo perché giorno dopo giorno, per le strade e nelle piazze, riecheggiano gli slogan a sostegno della Palestina. Il 3 ottobre i colori della sua bandiera sventolavano sui lunghi cortei dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, dalla Sardegna fino a Venezia, dove per un momento i manifestanti hanno fatto diventare di nuovo la città un arcipelago, bloccando il ponte che la collega alla terraferma e al turismo di massa.

Dopo lo sciopero generale organizzato il 3 ottobre a sostegno dei componenti della Global sumud flotilla arrestati da Israele, la mobilitazione per denunciare la distruzione dell’enclave palestinese compiuta dall’esercito israeliano è proseguita il giorno dopo a Roma, dove si è svolta un’altra manifestazione a cui hanno partecipato tanti giovani, con adesioni che vanno oltre gli ambienti più politicizzati. Il 3 ottobre i treni hanno accumulato ore di ritardo. Gli studenti hanno occupato le università e i liceali non sono andati a scuola per manifestare insieme agli altri. Strade e porti sono stati bloccati. Perfino i pompieri hanno scioperato. Sindacalisti appartenenti ai sindacati confederali e a quelli autonomi hanno fatto fronte comune e hanno detto di contare sul fatto che i poliziotti si sarebbero comportati bene, convinti che sotto le divise sono d’accordo con i manifestanti.

Al freddo e senz’acqua

“Il paese non vedeva niente di simile da mezzo secolo. Il sostegno alla Palestina forma nuovi militanti”, osserva il musicista Andrea Cigna, che ha partecipato al corteo milanese. Nessuno sa davvero quante persone fossero in piazza. I manifestanti parlano di milioni. Il ministero dell’interno dice 396.400 persone e afferma che la giornata di mobilitazione “è trascorsa piuttosto bene”. A prescindere dal numero preciso, queste persone avevano in comune il desiderio di mostrare il loro sostegno ai 400 attivisti della flotilla in stato di fermo in Israele. Gli italiani sono appena un decimo, ma questo non ha importanza. La dimensione delle mobilitazioni non ha equivalenti in Europa. In un video pubblicato il 3 ottobre il ministro israeliano dell’estrema destra nazionalista e religiosa Itamar Ben Gvir ha mostrato la sua sagoma sullo sfondo del corridoio del carcere di Ketziot, nel deserto del Negev, confermando la detenzione di coloro che ha definito “terroristi”. La prigione fa parte di quella che l’ong israeliana di difesa dei diritti umani B’Tselem ha definito una “rete di centri di tortura”, dove gli abusi sistematici e la malnutrizione hanno portato, secondo i documenti prodotti dall’ong, alla morte di almeno sessanta prigionieri palestinesi.

“I nostri volontari hanno avuto diritto a una visita consolare. Abbiamo potuto appurare solo che sono tenuti al freddo e che l’acqua è razionata”, spiega Walter Massa, presidente dell’Arci, che aveva noleggiato un’imbarcazione. La diplomazia italiana ha chiesto migliori condizioni di detenzione per gli italiani fermati.

Una figura di riferimento

“Per la prima volta in vita mia, da donna del sud mi sento italiana, in un paese davvero unito”, ha dichiarato Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, mentre si apprestava a incontrare un pubblico che riempiva le balconate, a cui erano appese delle kefiah, al teatro comunale di Ferrara in occasione del festival di Internazionale. Anche se viene criticata da chi le rimprovera di andare oltre il suo ruolo istituzionale per fare politica, è diventata per molti la figura di riferimento del movimento europeo a sostegno della Palestina.

“Non ci sono molti giovani in questo paese, ma ecco una generazione che si affaccia all’età adulta indignata per il genocidio di un popolo non più osservato con lo sguardo orientalista dei genitori. Vedono la sofferenza senza il filtro del razzismo”, ha detto Albanese. La presidente del consiglio Giorgia Meloni, il cui governo è molto stabile, con un tasso di fiducia che secondo l’istituto Ixè è del 37 per cento, ha ribadito che i manifestanti strumentalizzano la situazione dei palestinesi per seminare il caos. Il 3 ottobre su Instagram Fratelli d’Italia li ha accusati di aver scioperato per avere un weekend lungo. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati