L’Europa è un arcipelago. Al largo delle sue coste ci sono tante piccole isole dove è stata scritta la storia. Quella vulcanica di Ventotene, nel mar Tirreno, al largo della Campania, è una di queste. È su questa area desolata di 1,5 chilometri quadrati che è nata un’idea di Europa. Un’idea italiana.

Punto di riferimento per i pescatori e luogo di segregazione fin dall’impero romano, l’isola fu usata dal regime di Benito Mussolini per mandare al confino le persone considerate pericolose. All’epoca centinaia di prigionieri formarono una piccola società antifascista: erano privati della libertà, ma i carcerieri non poterono impedirgli di pensare. Tanto che nel 1941 due di loro, il liberale Ernesto Rossi e l’ex comunista Altiero Spinelli, scrissero clandestinamente il manifesto di Ventotene, considerato il fondamento del federalismo europeo. Un testo antitotalitario, antirazzista e attento al destino delle minoranze, che sosteneva una rivoluzione del continente contro i nazionalismi e le oligarchie economiche, per costruire un’Europa unita, democratica e con un proprio esercito.

Una lunga storia

Ancora oggi quel manifesto è un riferimento imprescindibile negli ambienti europeisti italiani, anche se non piace alla presidente del consiglio Giorgia Meloni: “Non so se è la vostra visione dell’Europa, ma di certo non è la mia”, ha detto il 19 marzo alla camera dei deputati rivolgendosi ai banchi dell’opposizione durante comunicazioni del governo in vista del Consiglio europeo, suggerendo che l’idea di un’Europa federale è intrinsecamente liberticida.

Meloni, nazionalista e conservatrice, che dialoga con Bruxelles pur coltivando rapporti privilegiati con Donald Trump, ha voltato le spalle a una lunga storia. Alla guida di un partito che affonda le sue radici nella storia di quel regime che mandò in esilio gli autori del manifesto oggi prende le distanze da un europeismo inscindibile dall’antifascismo del dopoguerra, il cui contributo all’unificazione del continente era stato fondamentale.

Nella storia di questo ideale si incrociano due genealogie politiche. La tradizione federalista radicale di Altiero Spinelli, mandato in esilio dal regime e poi diventato parlamentare e commissario europeo, e quella del democristiano Alcide De Gasperi, pioniere della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), l’organizzazione che portò alla Comunità economica europea (Cee) e poi all’Unione europea.

De Gasperi, futuro presidente del consiglio italiano, era un uomo di frontiera, nato nel Trentino ancora sotto la monarchia austro-ungarica, e ricoprì il suo primo incarico a Vienna dopo essere stato eletto al parlamento austriaco nel 1911. “De Gasperi difendeva la minoranza italiana da cui proveniva, ma era prima di tutto un cattolico e apprezzava l’impero austro-ungarico, con il suo parlamento composto di diverse nazionalità, multireligioso e multilingue. Questa fu la matrice della riflessione di tutta una vita sui legami che uniscono i popoli europei”, spiega Agostino Giovagnoli, professore di storia contemporanea all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Sulla strada dell’integrazione europea De Gasperi incontrò altri due frontalieri, entrambi cattolici e di lingua tedesca come lui: il francese Robert Schuman, nato in Lussemburgo e la cui prima nazionalità era tedesca, e il renano Konrad Adenauer, primo cancelliere della Repubblica federale tedesca, nel 1949. “Per De Gasperi, come per gli altri padri fondatori della Democrazia cristiana europea, l’integrazione del continente era inseparabile dall’Alleanza atlantica. La posta in gioco, però, non era solo l’anticomunismo, ma anche un certo universalismo cattolico”, spiega Antonio Varsori, che insegna storia delle relazioni internazionali all’università di Padova.

Silvio Berlusconi ha aperto la strada a nuove forze ostili a Bruxelles

L’eredità di Altiero Spinelli era diversa, proveniva da una tradizione laica, quella dell’unificazione italiana contro il potere temporale del papa, che governò Roma fino al 1870. “Dal punto di vista di Spinelli l’unificazione dell’Europa poteva essere un prolungamento dell’unificazione italiana raggiunta nell’ottocento. Ma aveva anche dei punti in comune con le preoccupazioni della Democrazia cristiana”, spiega Luigi Gianniti, del comitato scientifico della fondazione De Gasperi.

“Noi italiani che abbiamo lavorato all’unità dell’Europa siamo tutti figli dello Spinelli attaccato da Meloni. La cultura politica italiana è stata a lungo la più federalista, la più europea del continente”, dice Emma Bonino, 77 anni, protagonista della lotta per i diritti civili in Italia e commissaria europea dal 1995 al 1999. Inoltre, l’Atto unico europeo del 1986 e il trattato di Maastricht del 1992 che ha istituito l’Unione europea devono molto alle idee del Progetto Spinelli, adottato dal parlamento europeo nel 1984.

In Italia l’anno in cui è nata l’Unione europea è stato anche quello della fine di un mondo. Nel 1992 la vicenda dell’inchiesta giudiziaria denominata Mani pulite ha visto la scomparsa dei partiti europeisti, pochi anni dopo che la caduta del muro di Berlino aveva messo in crisi il più grande partito comunista dell’Europa occidentale. “Con la fine di quella classe politica in Italia ne stava emergendo un’altra fatta di alti funzionari, europeisti convinti, tecnocrati o provenienti dal mondo accademico, che avrà poi un nuovo ruolo sia a Roma sia a Bruxelles”, spiega Paolo Gentiloni, 70 anni, ex commissario europeo.

Uno dei più illustri è l’economista Romano Prodi, legato alla Democrazia cristiana. Tra il 1996 e il 1998 come capo del governo italiano ha imposto il rispetto dei criteri di Maastricht e preparato l’ingresso dell’Italia nell’euro. “L’ideale europeo era ancora così forte che potevo giustificare decisioni difficili prese dal governo per costruire l’Europa. Un presidente del consiglio che oggi tentasse di fare una cosa simile sarebbe giustiziato seduta stante”, spiega Prodi. Poi da presidente della Commissione europea ha supervisionato l’introduzione della moneta unica, l’allargamento ai paesi dell’Europa centrale e orientale e il progetto di costituzione europea arenato con il referendum francese del 2005 che ne impedì la ratifica.

La situazione cambiò nel 2011 quando l’ex commissario europeo Mario Monti prese il posto di Silvio Berlusconi alla guida del governo italiano, in un momento disastroso per i conti pubblici del paese. Per rassicurare i mercati Monti adottò una politica d’austerità. “Da ideale l’Europa divenne un vincolo, ma questo accadde per evitare effetti ben più devastanti. Ogni decisione presa non era solo dovuta all’Europa, visto che era l’Italia ad aver bisogno di quelle misure. La responsabilità delle decisioni era del governo che guidavo, per sua natura temporaneo, e non dell’Unione europea, che sarebbe rimasta”, spiega Monti.

Gli “alti funzionari” italiani non hanno mai smesso di avere un ruolo di primo piano nell’Unione. Nel 2012 Mario Draghi, al culmine della crisi dell’euro, ha salvato la moneta unica quando, da presidente della Banca centrale europea, affermò che l’euro sarebbe stato sostenuto “a qualsiasi costo”, placando così gli appetiti degli speculatori. Nel 2021 Draghi è stato nominato presidente del consiglio italiano per affrontare la crisi legata alla pandemia. La foto che lo ritrae con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e con il presidente francese Emmanuel Macron, nel treno diretto a Kiev una notte del giugno 2022, passerà alla storia come l’immagine dell’Italia che nel momento più buio, guidata da un grande europeista, ha avuto lo stesso peso politico di Berlino e Parigi. Draghi è stato incaricato nel 2024 dalla Commissione europea di scrivere un rapporto sulla competitività dell’Unione, mentre al suo connazionale Enrico Letta, ex presidente del consiglio, le istituzioni europee hanno chiesto una relazione sul rafforzamento del mercato interno dell’Unione.

Il grande sconvolgimento politico del 1992 ha anche dato vita a una nuova generazione di politici, critici nei confronti del progetto europeo. I tre decenni della “seconda repubblica” sono stati dominati da Silvio Berlusconi, la cui dimensione populista ha virato verso l’euroscetticismo mentre con le sue coalizioni di destra ha aperto la strada a nuove forze ostili a Bruxelles. È il caso della Lega di Matteo Salvini, ora vicepresidente del consiglio, che rappresenta una destra filorussa e antieuropeista. Si deve a Berlusconi l’aver portato al governo eredi del neofascismo, di cui Fratelli d’Italia è l’ultima incarnazione. A sinistra anche il Movimento 5 stelle ha prosperato sugli effetti delle politiche d’austerità. “Il sovranismo italiano non è un desiderio di fare a meno dell’Europa, ma una delusione nei confronti di un’Europa che, secondo questa idea, avrebbe potuto difendere meglio l’Italia”, sintetizza Giovanni Orsina, direttore del dipartimento di scienze politiche dell’Università Luiss Guido Carli di Roma. La parte destinata all’Italia del piano di rilancio adottato dall’Unione europea dopo la pandemia, il Next generation Eu, quasi 200 miliardi di euro, doveva rimediare al problema. In effetti Meloni, una volta diventata presidente del consiglio, ha seguito le politiche dell’Unione, curando in modo particolare i rapporti con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Gli interessi dei singoli

A partire dagli anni novanta, anche per l’influenza della rivista di geopolitica Limes, si è diffusa una narrazione delle relazioni internazionali basata sugli interessi dei singoli stati. I rapporti tra i partner europei sono spesso visti come un gioco a somma zero, con la geografia dei paesi che li condanna a destini divergenti facendo risultare innaturale un’unione politica tra i vari stati. Meloni, che mira ad approfondire le relazioni bilaterali dell’Italia con gli Stati Uniti di Donald Trump e diffida dell’autonomia strategica europea, non ha certo una visione comunitaria.

A Roma il centro informativo dell’Unione europea è stato intitolato a un ex presidente del parlamento europeo, il giornalista italiano David Sassoli, morto nel 2022. Il centro spiega i vantaggi dell’Europa ai ragazzi delle scuole e tiene conferenze. Lì incontriamo Virgilio Dastoli, 75 anni, che è stato assistente di Altiero Spinelli. “Meloni rappresenta il ritorno di una forma di nazionalismo in Europa. Attacca il manifesto di Ventotene perché non è mai stato così attuale, indicando due nemici: il potere illimitato dei governi, che è quello cercato da Trump, da Putin e da Netanyahu, e la sovranità illimitata delle nazioni, che porta alla guerra”. Lo spazio David Sassoli-Europa experience si trova in piazza Venezia, proprio di fronte al palazzo da dove Benito Mussolini pronunciava le sue arringhe nazionaliste al popolo e annunciava le sue guerre. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1615 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati