In Senegal l’ascesa al potere nell’aprile 2024 del presidente Bassirou Diomaye Faye, con Ousmane Sonko primo ministro, è stata salutata come una vittoria del popolo contro l’establishment politico. I nuovi leader del partito Patrioti africani del Senegal per il lavoro, l’etica e la fratellanza (Pastef) promettevano un governo trasparente, una giustizia uguale per tutti e una democrazia più forte. Ma oggi il governo sembra aver imboccato una strada pericolosa: quella che doveva essere una boccata d’aria fresca si sta lentamente trasformando in un’atmosfera ansiogena, dove le voci dissidenti sono messe a tacere, le critiche sono assimilate al tradimento e la libertà d’espressione è minacciata. La traiettoria del primo ministro Ousmane Sonko, un tempo simbolo della contestazione, è segnata da un paradosso. Sotto la presidenza di Macky Sall, Sonko era stato al centro di procedimenti giudiziari (una condanna gli aveva impedito di essere il candidato del Pastef alla presidenza) e ora sembra voler sfruttare gli stessi mezzi per mettere a tacere gli oppositori.

Molte voci critiche – giornalisti, attivisti, intellettuali, avversari politici – hanno subìto pressioni giudiziarie. Quest’evoluzione è ancora più preoccupante se si considera che il sistema giudiziario dovrebbe essere un contrappeso al potere politico e invece sembra essere al servizio di una strategia per neutralizzare il dissenso. Le denunce per “attentato alla sicurezza dello stato”, “diffusione di notizie false” o “vilipendio delle istituzioni” sono strumenti per intimidire.

Nel mirino

Il giornalismo d’inchiesta e i mezzi d’informazione sono particolarmente colpiti, con arresti arbitrari, interrogatori ripetuti, minacce appena velate. Anche il trattamento riservato ad alcuni attivisti che si espongono sui social media la dice lunga: semplici cittadini si ritrovano in arresto o sono denunciati solo per aver criticato la politica del governo.

A questo si aggiungono i discorsi di Sonko, che non esita più ad accusare quelli che lo contestano definendoli “sabotatori”, “nemici della nazione” o “ scorie del vecchio regime”. Questo tipo di retorica alimenta una polarizzazione preoccupante della società senegalese, aumentando la distanza tra i sostenitori entusiasti del nuovo governo e quelli che, senza essere necessariamente ostili, fanno domande legittime sulle sue decisioni.

La transizione democratica non significa semplicemente cambiare volti o partiti, ma trasformare in profondità le pratiche istituzionali, il rapporto con il potere e il rispetto delle libertà fondamentali. Se Sonko e il suo governo mantengono la linea repressiva, rischiano di perdere la forza e la bellezza della loro lotta iniziale: la speranza di un Senegal più libero, più giusto, più inclusivo. Al di là della politica, è l’intero tessuto sociale del Senegal a essere indebolito. La democrazia senegalese, spesso citata come esempio nel continente, oggi è in uno stato di turbolenza. ◆ adg

Rottura al vertice

◆ I mezzi d’informazione senegalesi hanno parlato molto del giro di vite contro le voci critiche nel paese dopo l’arresto, il 9 luglio, del commentatore televisivo Badara Gadiaga, che in una trasmissione aveva osato menzionare la condanna per “corruzione dei giovani” inflitta al primo ministro Ousmane Sonko in un processo del 2023 in cui era accusato di stupro. Hanno dato rilevanza anche alle dure parole rivolte il 10 luglio da Sonko al presidente Bassirou Diomaye Faye, in una riunione del partito Pastef. Dopo la condanna che l’aveva reso ineleggibile, Sonko aveva indicato Diomaye come candidato e per vari mesi i due sono andati d’accordo. Ma ora il primo ministro accusa il presidente di volerlo ostacolare e di essere un debole. Per il giornale L’Enquête è l’ennesima “coppia che finisce male” della storia politica senegalese, che dai tempi del presidente Léopold Sédar Senghor e del primo ministro Mamadou Dia conosce dissidi ai vertici. Il paese oggi è in una situazione finanziaria difficile, che impedisce al governo di portare avanti i suoi programmi: con un debito pubblico salito nel 2024 al 118 per cento del pil, il Senegal è il paese più indebitato dell’Africa.


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Questo articolo è uscito sul numero 1623 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati