Il nuovo movimento antirazzista statunitense è nato poche ore dopo la morte di George Floyd. Quel 25 maggio del 2020 centinaia di persone si sono radunate all’incrocio dove Floyd era stato ucciso, nella zona sud di Minneapolis, spinte da un agghiacciante video e dal passaparola, per chiedere la fine della violenza della polizia contro i neri. Quel momento di lutto e rabbia collettiva ha prodotto una riflessione nazionale su cosa significa essere afroamericano, una discussione ancora in corso.
Prima sono arrivate le manifestazioni nelle città grandi e piccole di tutti gli Stati Uniti, che hanno dato vita al più grande movimento di protesta di massa nella storia del paese. Poi, nei mesi successivi, 170 simboli della confederazione sudista (che combatté per preservare la schiavitù durante la guerra civile) sono stati rinominati o rimossi dagli spazi pubblici. Lo slogan “Black lives matter”, le vite dei neri contano, è stato rivendicato da un intero popolo sconvolto dalla morte di Floyd. Negli undici mesi successivi le proteste contro le discriminazioni razziali hanno coinvolto ogni aspetto della vita quotidiana, con un’ampiezza che secondo gli storici è paragonabile solo a quella del movimento per i diritti civili degli anni sessanta.
Il 20 aprile 2021 Derek Chauvin, il poliziotto bianco che è rimasto con il ginocchio sul collo di Floyd per più di nove minuti, è stato condannato per omicidio. Il verdetto ha dato un po’ di conforto agli attivisti antirazzisti. Ma per la comunità afroamericana il cambiamento reale sembra ancora lontano, soprattutto considerando che uomini neri continuano a morire per mano degli agenti di polizia, come dimostra il caso recente di Daunte Wright, ucciso in un sobborgo di Minneapolis. Inoltre, negli ultimi mesi sono emersi segnali di una reazione che va in direzione opposta: negli stati controllati dai repubblicani sono state presentate leggi per ostacolare l’accesso al voto (che colpiscono soprattutto i neri), proteggere ulteriormente la polizia e criminalizzare le proteste pubbliche.
Secondo Otis Moss, pastore della Trinity united church of Christ di Chicago, non è corretto dire che il paese sta finalmente facendo i conti con la sua storia sul tema delle disuguaglianze. “Il termine ‘fare i conti’ suggerisce che sia in corso un reale processo per ripensare tutto, dalla giustizia penale all’insicurezza alimentare fino alle disuguaglianze nell’accesso alla sanità. Ma non è quello che siamo facendo”. Il verdetto contro Chauvin “riguarda un sintomo. Non abbiamo ancora affrontato la malattia”, conclude Moss.
Pochi attimi prima che la sentenza fosse annunciata, Derrick Johnson, presidente dell’Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore (Naacp), ha definito la morte di Floyd “un momento paragonabile ai fatti di Selma”, un riferimento a quando la polizia attaccò dei manifestanti pacifici in una cittadina dell’Alabama, nel 1965. “Il mondo guardò quello che succedeva negli Stati Uniti, e questo portò all’approvazione del Voting rights act”, la legge che difende il diritto di voto delle minoranze. “Allo stesso modo, l’omicidio di George Floyd dovrebbe fare da catalizzatore per un’ampia riforma della polizia in questo paese”.
La vicenda di George Floyd, dall’omicidio alle proteste fino al processo, si è svolta durante la pandemia di covid-19, che ha ulteriormente evidenziato le disuguaglianze razziali negli Stati Uniti. Le minoranze, infatti, sono state molto più colpite dal virus e dalle conseguenze economiche che ha provocato. Per molti il peso della morte di Floyd si è aggiunto a quello degli altri episodi di violenza avvenuti nell’ultimo decennio, una lista che comprende gli omicidi di Eric Garner, Michael Brown e Breonna Taylor.
Bianchi che cambiano idea
Nei mesi dopo la morte di Floyd sono arrivati dei cambiamenti concreti. Molti stati hanno introdotto delle leggi per modificare la condotta delle forze dell’ordine. Alcune grandi aziende hanno versato miliardi di dollari per sostenere la causa dell’uguaglianza. La lega professionistica di football (Nfl) si è scusata per non aver sostenuto le proteste dei giocatori neri contro gli abusi della polizia. È cambiato anche il modo in cui la società reagisce alle rivendicazioni dei manifestanti. Decine di funzionari che hanno fatto dichiarazioni razziste su Floyd sono stati licenziati o costretti a seguire corsi di formazione antirazzisti. In passato forse esternazioni di questo tipo sarebbero state tollerate.
Inoltre sono cambiate, almeno inizialmente, le opinioni degli americani su una serie di tematiche legate alla disuguaglianza razziale e alla violenza della polizia. Gli statunitensi, soprattutto i bianchi, hanno sostenuto il movimento Black lives matter molto più che in passato, ammettendo che la discriminazione razziale è un problema grave e che la violenza della polizia colpisce soprattutto i neri.
C’è stato un momento, dopo la morte di Floyd, in cui perfino i politici repubblicani di Washington si sono detti favorevoli alla riforma delle forze dell’ordine. Ma è durato poco. Quando alcune manifestazioni sono degenerate nella violenza e il presidente Donald Trump le ha usate nei suoi spot elettorali, i sondaggi hanno registrato un cambiamento d’opinione dei repubblicani sul tema della discriminazione. Durante la campagna elettorale si è creata una sorta di contrapposizione tra giustizia razziale e ordine pubblico. I repubblicani che un tempo avevano parlato della vicenda Floyd si sono improvvisamente zittiti.
La morte di Floyd ha comunque cambiato, almeno per il momento, il modo in cui i bianchi non repubblicani affrontano questi problemi, rendendoli più consapevoli delle disuguaglianze razziali e spingendoli a sostenere la riforma delle forze dell’ordine. Questo spiega perché molti elettori istruiti che vivono nelle comunità benestanti ai margini delle grandi città si sono spostati verso il Partito democratico. “Il 2020 passerà alla storia come un anno fondamentale e catalizzante”, spiega David Bailey, che dirige un’organizzazione senza scopo di lucro con sede a Richmond, in Virginia. “Qualcosa nella testa delle persone sta cambiando. Non possiamo ancora dire con certezza cosa significhi, ma noto qualcosa di diverso”.
Allo stesso tempo, i leader democratici, tra cui molti sindaci e anche il presidente Joe Biden, hanno spesso accompagnato le critiche alla polizia agli appelli ai manifestanti perché evitassero qualsiasi violenza. Secondo Davin Phoenix, politologo dell’università della California a Irvine, quest’associazione tra la rabbia politica dei neri e la violenza è molto radicata nel paese, e non è stata intaccata nell’ultimo anno. “Prima ancora di avere la possibilità di processare le loro emozioni e il loro turbamento, si sentono dire ‘non fate questo e quello’ dai politici e dal presidente, cioè da persone che hanno conquistato il potere anche grazie a loro”.
Le proteste scoppiate dopo la morte di Floyd sono diventate una tema di scontro sempre più acceso. Sono state quasi sempre pacifiche, ma ci sono stati anche saccheggi e danni alle proprietà. Le immagini sono finite in tv e sui social network, e i repubblicani le hanno usate per accusare la sinistra di aver perso il controllo della situazione. In autunno le bandiere del movimento Blue lives matter (le vite dei poliziotti contano) hanno cominciato a sventolare davanti alle case di tutto il paese.
Mezzo secolo
Quello che i sondaggi non hanno scoperto è fino a che punto le persone bianche di sinistra sono disposte a modificare i comportamenti che rafforzano le disuguaglianze razziali, per esempio a scegliere scuole e quartieri non integrati. Mentre la rabbia per l’omicidio di Floyd contribuiva a rafforzare la consapevolezza del problema, altre tendenze scatenate dalla pandemia hanno esasperato la disuguaglianza: le famiglie e i lavoratori neri sono stati colpiti in modo sproporzionato dalla crisi sanitaria, gli studenti bianchi hanno ottenuto risultati migliori nell’istruzione a distanza e i proprietari bianchi si sono arricchiti grazie a un mercato immobiliare in salute. Jennifer Chudy, politologa del Wellesley college, ha condotto un sondaggio tra i bianchi di varie zone del paese, e ha scoperto che anche le persone più solidali con la causa antirazzista tendono a preferire azioni limitate e private – per esempio tenersi informati o ascoltare i discorsi dei neri – a quelle più concrete e collettive, come scegliere di vivere in una comunità diversificata o chiedere ai funzionari e ai politici locali di fare qualcosa contro le discriminazioni.
In ogni caso gli storici hanno sottolineato l’effetto positivo della vicenda Floyd per il dibattito pubblico, non solo sulla polizia ma anche sulle discriminazioni nelle istituzioni pubbliche e private. Alcuni imprenditori neri di successo hanno raccontato le loro esperienze personali, accusando il mondo degli affari di non aver fatto abbastanza contro il razzismo. “L’America aziendale ha tradito l’America nera”, ha detto Darren Walker, presidente della Ford foundation e membro del consiglio d’amministrazione di PepsiCo. Molte aziende hanno promesso di essere più inclusive nella selezione del personale.
Gli attivisti hanno cercato di trasformare l’energia delle proteste in una spinta politica, impegnandosi a registrare nelle liste elettorali le persone appartenenti alle minoranze. La giustizia razziale è stata un tema cruciale della campagna elettorale per le elezioni del novembre 2020. Quasi tutti i candidati democratici hanno affrontato l’argomento nei loro comizi, in alcuni casi promettendo una riforma della polizia, l’eliminazione del sistema della libertà su cauzione e la creazione di commissioni che vigilino sull’operato degli agenti.
Gli sforzi hanno soprattutto permesso di far passare leggi per modificare la condotta della polizia. Dopo l’omicidio di Floyd più di trenta stati hanno approvato proposte per aumentare i controlli sui dipartimenti, concedendo agli stati maggiore autorità e cercando di arginare i potenti sindacati di polizia. I cambiamenti includono limiti all’uso della forza, una rivalutazione dei sistemi disciplinari, un aumento dei controlli da parte di funzionari civili e una maggiore trasparenza nei casi di cattiva condotta.
Resta il fatto che i sistemi di polizia sono complessi e radicati, e non è chiaro fino a che punto le nuove leggi cambieranno il modo in cui le cose funzionano nella vita di tutti i giorni. “L’America è un paese profondamente razzista, ma sta progressivamente migliorando”, spiega Bailey. “D’altronde parliamo di un problema che esiste da 350 anni e che abbiamo cominciato ad affrontare solo da mezzo secolo”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1406 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati