Parlare di violenze sulle donne significa ancora parlare della violenza esercitata dagli uomini. “Educate i vostri figli invece di proteggere le vostre figlie”: questo slogan, scritto sui muri delle città durante le manifestazioni del 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, c’invita a ribaltare la prospettiva. Sappiamo quanto la violenza sessista è diffusa, radicata e rafforzata dagli stereotipi di genere. Eppure dopo il #MeToo alcuni genitori potrebbero aver maturato un dubbio. Se gli uomini violenti sono i nostri padri, i nostri fratelli, i nostri amici, che dire dei nostri figli? Come sbarazzarci degli effetti deleteri della virilità senza colpevolizzare i ragazzi?
Incoraggiare le ragazze a spezzare le catene ereditate dalla storia e a mostrarsi coraggiose è scontato. Significa dirgli che “tutto è possibile”, invitarle ad abbracciare tutti i ruoli immaginabili. Questo slancio è stato aiutato dai movimenti femministi e dalle politiche che hanno fatto emergere una varietà maggiore di modelli diversi per le ragazze.
L’orizzonte dei ragazzi, invece, sembra congelato, mentre intorno la società cambia. Fatichiamo a reinventare i loro ruoli, come se rappresentassero ancora uno standard a cui tutte e tutti dovrebbero aspirare, con il rischio che i movimenti maschilisti intercettino le loro frustrazioni. Per prevenire la violenza di genere bisogna insegnare ai ragazzi a prendersi cura di sé e degli altri, indicargli esempi fuori dai cliché, meno incentrati sulla performance e la rivalità e più sulla collaborazione e l’empatia. Ripensare l’educazione dei ragazzi, però, non può essere una responsabilità solo dei genitori, ma il progetto di una società paritaria condiviso con la scuola, le strutture per l’infanzia e gli adulti che li circondano: un progetto per emanciparsi da un sistema che soffoca tutti. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1642 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati