Dopo aver adattato nel 2015 il romanzo di Thomas Pynchon Vizio di forma, Paul Thomas Anderson si è ispirato piuttosto liberamente a Vineland per dar vita a un bizzarro thriller d’azione, animato da un’energia degna di un fumetto pulp e da un’indignazione politica mutante, tenendo sempre a tavoletta il pedale del gas. È una rivisitazione dell’ormai riconoscibile idea anderson-pynchoniana di controcultura e controrivoluzione, che assorbe lo stile paranoico della politica statunitense in una resistenza farsesca e strampalata. E, in parte, è una diagnosi freudianamente inquietante della disfunzione padre-figlia – giustapposta alla famigerata separazione di figli e genitori al confine tra Stati Uniti e Messico – oltre che una risposta seria e pertinente alla classe dirigente segreta statunitense e agli ormai ordinari rastrellamenti dell’Immigration and customs enforcement (Ice). DiCaprio interpreta un goffo artificiere di una cellula terroristica che assalta i centri in cui sono rinchiusi i migranti, per liberarli. Bob ha una devozione cieca per Perfidia (Teyana Taylor), leader carismatica che non si fa scrupoli a sfruttare l’infatuazione di un colonnello aggressivo e reazionario (Penn). Anni dopo il povero e confuso Bob ha cresciuto da solo una figlia che crede sua, quando le forze dell’oscurità lo circondano di nuovo. Una battaglia dopo l’altra è al tempo stesso serio e non serio, emozionante e sconcertante, una fusione che trasmette sullo schermo un’effervescenza folle. Idee fuori moda come quella di una guerra culturale senza fine o di privilegio nel sogno del meltin pot statunitense rendono il film ancora più interessante: parla di dissenso e di malcontento, e dell’eroismo solitario di chi non riesce a integrarsi.
Peter Bradshaw, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1633 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati