Il 1 giugno i messicani votano per eleggere 850 giudici federali, nove giudici della corte suprema, 22 funzionari giudiziari di alto livello e migliaia di cariche dei tribunali inferiori. Nel 2027 una seconda votazione completerà l’organico del sistema giudiziario nazionale. In alcuni paesi del mondo un certo numero di giudici, soprattutto nei tribunali minori, riceve l’incarico con un’elezione, ma il Messico sarà il primo paese dove ogni singolo giudice avrà un mandato popolare.
Il parlamento messicano ha approvato i cambiamenti costituzionali necessari per questa rivoluzione nel settembre 2024. È stato l’atto finale della presidenza di Andrés Manuel López Obrador, che in questo modo ha realizzato uno dei suoi obiettivi principali. La presidente Claudia Sheinbaum ha seguito le orme di Obrador. Il partito di cui fanno parte entrambi, Morena, ritiene che l’elezione dei giudici renderà il sistema giudiziario più democratico, eliminerà la corruzione e il nepotismo e semplificherà l’accesso alla giustizia. “Il popolo non è stupido”, sottolinea Olivia Aguirre Bonilla, candidata alla corte suprema. “Se ci affidiamo agli elettori per scegliere il presidente, perché non dovremmo fare lo stesso per i giudici?”.
Indipendenza a rischio
Il sistema giudiziario messicano è da tempo in pessimo stato. Ancora oggi più del 90 per cento dei crimini non viene denunciato, mentre solo il 14 per cento delle denunce porta a una condanna. Alcuni giudici sono effettivamente corrotti, ma esistono ottime ragioni per cui sono pochi i governi democratici che chiedono agli elettori di scegliere i magistrati. La necessità di ottenere i voti, infatti, li costringe a piegarsi all’opinione pubblica.
Per un giudice eletto è inevitabilmente più difficile far rispettare la legge se risulta impopolare. Inoltre è meno probabile che i magistrati eletti chiedano conto ai politici del loro operato, quando questi seguono gli umori dei cittadini. “Nessuno mi ha eletta”, sottolinea Martha Magaña, giudice federale che ha deciso di non candidarsi. “Di conseguenza quando emetto una sentenza non devo rendere conto a nessuno”.
In Bolivia, unico caso al mondo, i giudici della corte suprema sono eletti dal 2011, con un meccanismo di selezione che si è rivelato disastroso: l’autorità del tribunale è stata compromessa da una serie infinita di battaglie politiche. Alle ultime elezioni due quinti dei voti sono stati dichiarati nulli.
In Messico le elezioni dei giudici implicano un rischio ben più grave rispetto al semplice caos, cioè l’infiltrazione delle bande di narcotrafficanti. Già oggi le organizzazioni criminali minacciano o uccidono i funzionari pubblici per ottenere quello che vogliono e presentano i loro candidati alle elezioni locali. Ora potrebbe aggravarsi il fenomeno endemico dei giudici corrotti da imprenditori e funzionari.
Le elezioni sono l’ultima tappa della manovra di Morena per conquistare una posizione egemonica all’interno della politica messicana. López Obrador ha conquistato il potere accusando i giudici di essere elitari e faziosi. Negli ultimi anni la corte suprema ha bloccato diverse riforme proposte dal presidente, diventando un bersaglio costante degli attacchi di López Obrador. Gerardo Fernández Noroña, esponente di Morena e presidente del senato, sostiene che i giudici del vecchio sistema messicano, basato sulle nomine, non applicano la legge. “Rispondono a interessi politici ed economici”, accusa. “Sono loro ad aver distrutto lo stato di diritto”.
La selezione degli aspiranti giudici ha incrementato innegabilmente il rischio di corruzione. In poco più di sei settimane, tre commissioni hanno dovuto esaminare 24mila candidature: i colloqui a volte sono durati appena pochi minuti. Inoltre due commissioni su tre erano dominate da Morena. Alla fine nelle liste elettorali sono presenti alcuni candidati con legami accertati con la criminalità, un fatto che Morena ammette. Si è creata una situazione da farsa. Il senato sostiene che solo l’autorità elettorale ha il potere di rimuovere i candidati legati alle bande criminali, ma questa sostiene di non avere il potere di farlo. Il risultato è che i candidati corrotti saranno presenti nelle liste, ma se uno di loro dovesse essere eletto la sua vittoria sarà annullata. In questo scenario caotico è difficile immaginare che la criminalità non sia riuscita a inserire nelle liste i suoi fedelissimi, o comunque persone controllabili.
Dentro o fuori
Questo sistema, tra l’altro, causerà la perdita di una grande esperienza istituzionale, dato che solo una minoranza dei giudici in carica ha accettato di candidarsi. Degli undici che attualmente compongono la corte suprema (secondo uno studio finora per entrarci servivano in media 24 anni di servizio), appena tre figurano nelle liste. A partire da giugno i casi di costituzionalità e le dispute commerciali da milioni di dollari saranno esaminati da persone che potrebbero non aver mai messo piede in un tribunale. In futuro sarà improbabile che Morena incassi molte sconfitte nei tribunali, non solo perché il partito ha una grande influenza sulla scelta dei candidati, ma anche perché attraverso la sua presenza nel tribunale disciplinare avrà un certo controllo sul comportamento dei giudici una volta eletti.
Anche se Morena sostiene che il voto sia un passo avanti per il processo democratico, si prevede un’affluenza molto bassa. Nel 2021, in occasione del referendum sulla possibilità di perseguire alcuni ex presidenti, fu di appena il 7 per cento. L’affluenza alle elezioni presidenziali dell’anno scorso, invece, è stata del 61 per cento.
Alcuni sostenitori di Morena riconoscono i difetti della riforma, ma il tempo per opporsi è scaduto. Mauricio Flores Castro, avvocato e candidato per un seggio alla corte suprema, sottolinea che a questo punto ci sono due opzioni: “Criticare da fuori o mettersi in gioco e cercare di migliorare la situazione. Questo percorso non sarà perfetto, ma è quello che abbiamo scelto. La storia ci giudicherà”.◆as
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Questo articolo è uscito sul numero 1616 di Internazionale, a pagina 33. Compra questo numero | Abbonati