L’incarico di Benjamin Netanyahu come primo ministro d’Israele, durato dodici anni, si è concluso il 13 giugno, quando la knesset, il parlamento israeliano, ha votato la fiducia al nuovo governo di coalizione guidato da Naftali Bennett. A capo di un partito ultranazionalista di destra che controlla sei dei 120 seggi della knesset, Bennett si è insediato come premier dopo la fiducia al governo con un margine sottilissimo: sessanta voti a favore e 59 contro.
Bennett guiderà un’improbabile alleanza che comprende partiti di sinistra, di centro e di destra, oltre a un partito che rappresenta i cittadini palestinesi d’Israele, che costituiscono il 21 per cento della popolazione del paese. Queste forze politiche hanno poco in comune, a parte il desiderio di deporre Netanyahu. In base a un accordo di rotazione, Bennett sarà primo ministro per due anni e poi sarà sostituito dal leader centrista Yair Lapid, il principale architetto del nuovo governo.
I due vogliono evitare decisioni importanti su temi come le politiche nei confronti dei palestinesi nei Territori occupati, concentrandosi sulle riforme interne. Ma date le scarse, se non nulle, prospettive di far ripartire una qualche forma di negoziato di pace, molti palestinesi sono indifferenti al cambio di amministrazione, e ritengono probabile che Bennett segua lo stesso programma di destra di Netanyahu. Marwan Bishara, analista politico di Al Jazeera, parla di una “faida di famiglia”, affermando che non ci sono differenze ideologiche tra il nuovo e il vecchio premier: “Appartengono entrambi, sostanzialmente, alla stessa famiglia sionista di destra. Le differenze sono di tipo personale, legate a dissidi tra loro”.
Netanyahu è rimasto seduto in silenzio durante la votazione del 13 giugno. Dopo l’approvazione del nuovo governo, si è alzato per lasciare l’aula, prima di fare marcia indietro e stringere la mano a Bennett. Demoralizzato, con una mascherina nera sul volto, è rimasto brevemente seduto sul seggio riservato al leader dell’opposizione prima di andarsene.
Netanyahu, il politico israeliano più potente della sua generazione, non è riuscito a formare un governo dopo le elezioni del 23 marzo, le quarte in due anni. A 71 anni, è adorato dai suoi sostenitori e detestato dai detrattori. Il suo processo per corruzione, che è ancora in corso e si basa su accuse che lui nega, non ha fatto che intensificare il divario. Ora resta il capo del maggiore partito in parlamento e ci si aspetta che si opponga vigorosamente al nuovo governo. Se anche una sola delle forze di coalizione dovesse tirarsi indietro, il governo potrebbe perdere la maggioranza e cadere, spianando la strada al ritorno di Netanyahu. I suoi oppositori denunciano da tempo la sua retorica divisiva, le sue tattiche politiche subdole e la sottomissione degli interessi statali alla sua sopravvivenza politica.
Fischi in aula
Le profonde divisioni del paese sono parse evidenti il 13 giugno, quando Bennett – ex leader dei coloni e nazionalista religioso di estrema destra, favorevole all’annessione della maggior parte della Cisgiordania occupata– si è rivolto al parlamento prima del voto. È stato ripetutamente interrotto e infastidito dai deputati del partito di Netanyahu, molti dei quali sono stati allontanati dall’aula. Harry Fawcett, giornalista di Al Jazeera, l’ha definito “un tentativo tumultuoso di ottenere una pacifica transizione di potere”.
◆ Il 15 giugno 2021 si è svolta a Gerusalemme una marcia organizzata dall’estrema destra israeliana, che inizialmente era stata cancellata per evitare nuove tensioni. I militanti ultranazionalisti, che celebravano l’anniversario dell’occupazione israeliana di Gerusalemme Est, hanno attraversato i quartieri arabi della città vecchia. Le forze di sicurezza israeliane hanno arrestato almeno 17 palestinesi che protestavano contro la manifestazione e ne hanno feriti altri 33. In segno di protesta, dalla Striscia di Gaza sono stati lanciati dei palloni incendiari che hanno provocato una quindicina di incendi nel sud d’Israele. L’aviazione israeliana ha risposto conducendo una serie di raid nella notte contro obiettivi di Hamas nella Striscia, dove era in vigore un cessate il fuoco dal 21 maggio, dopo undici giorni di bombardamenti che avevano provocato la morte di 260 palestinesi e 13 israeliani. Haaretz
Nel suo discorso Bennett si è concentrato soprattutto su questioni interne, ma ha anche espresso la sua opposizione ai tentativi degli Stati Uniti di ripristinare l’accordo sul nucleare iraniano con le potenze mondiali e ha promesso di portare avanti la politica aggressiva di Netanyahu. Bennett ha però ringraziato il presidente Joe Biden e gli Stati Uniti per il sostegno a Israele. Netanyahu, che ha parlato dopo di lui, ha promesso di tornare al potere e ha predetto che il nuovo governo sarà debole con l’Iran e cederà alle richieste di Wash–ington di fare concessioni ai palestinesi. Né Netanyahu né Bennett hanno fatto riferimento al destino dei milioni di palestinesi che vivono sotto l’occupazione militare israeliana.
“L’idea di futuri negoziati è stata lasciata completamente da parte”, ha commentato Bishara. Secondo Yohanan Plesner, presidente dell’Istituto per la democrazia d’Israele, un centro studi indipendente, il nuovo governo sarà più stabile di quanto appare oggi: “Anche se ha una maggioranza molto risicata, sarà difficile farlo cadere e sostituirlo perché l’opposizione non è coesa”. Tutti i partiti della coalizione vorranno dimostrare di poter tenere fede alle promesse, e per questo hanno bisogno di “tempo e risultati”. Ma Netanyahu continuerà a “gettare un’ombra”, ha detto Plesner. Secondo lui il leader dell’opposizione potrebbe approfittare della situazione e proporre delle leggi che le forze di destra della coalizione vorrebbero (ma non possono) sostenere, in modo da metterle in imbarazzo e indebolirle.
Intanto a Gerusalemme Est restano alte le tensioni per il progetto d’Israele di espellere alcune famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah. Negli attacchi della polizia israeliana al complesso della moschea Al Aqsa a maggio centinaia di palestinesi sono rimasti feriti, e nella Striscia di Gaza assediata è in vigore un fragile cessate il fuoco, dopo l’attacco dell’esercito israeliano che ha ucciso 253 persone.
Il nuovo governo dovrà fare i conti con varie sfide diplomatiche, di sicurezza e finanziarie: l’Iran, la tregua a Gaza, un’indagine per crimini di guerra della Corte penale internazionale e la ripresa economica dopo la pandemia. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1414 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati