I parchi nazionali statunitensi sono stati concepiti come delle cattedrali naturali. Paesaggi protetti dove le persone potessero venerare il sublime e immaginare come doveva essere il continente senza gli esseri umani e senza tecnologia. “Ma la verità”, sostiene sull’Atlantic lo scrittore David Treuer, “è che per 15mila anni il Nordamerica non è stato una landa selvaggia: molte delle aree che sono diventate parchi nazionali sono state plasmate per millenni dai nativi americani ”, che se ne sono presi cura rendendoli i posti meravigliosi che sono oggi. La creazione dei parchi, a partire dall’ottocento, andò di pari passo con la rimozione forzata dei nativi. Secondo Treuer, discendente della tribù Ojibwe, è arrivato il momento di riparare quei torti: “Siamo in un periodo in cui la storia degli Stati Uniti viene riconsiderata, con sempre più persone disposte ad ammettere i peccati del passato. Per noi nativi non ci sarebbe rimedio migliore che tornare in possesso delle terre che ci sono state rubate. E per noi nessuna terra è importante dal punto di vista spirituale come quelle su cui sorgono i parchi nazionali”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1407 di Internazionale, a pagina 25. Compra questo numero | Abbonati