Solo tre mesi fa l’India cominciava a sentirsi tranquilla. La prima ondata di contagi di covid-19, culminata in autunno, sembrava affievolirsi. Il virus aveva ucciso molte persone e aggravato le difficoltà dei più poveri, ma le scuole riaprivano, gli amici si rivedevano e l’imminente stagione di elezioni statali prometteva un ritorno alla normalità per la politica. Meglio ancora, in un paese pazzo per il cricket, la squadra indiana si era appena ripresa alla grande dopo un avvio incerto sconfiggendo una rivale aggressiva come l’Australia.

Rivolgendosi alla fine di gennaio agli studenti universitari, il primo ministro Narendra Modi tracciava paralleli fra il trionfo nel cricket e la guerra del suo governo contro il covid-19, sottolineando come entrambe le situazioni richiedessero una mentalità positiva. “Grazie a soluzioni made in India abbiamo controllato la diffusione del virus e migliorato le infrastrutture sanitarie”, si vantava. “La nostra capacità di ricerca e produzione dei vaccini ha protetto non solo l’India ma molti altri paesi in tutto il mondo”. A febbraio il Bharatiya janata party (Bjp), il partito di Modi, ha approvato una risoluzione in cui il primo ministro veniva definito un precursore che aveva “sconfitto” il covid-19.

Fino a marzo l’India registrava appena 13mila nuovi casi di covid-19 al giorno, una goccia nel mare per un paese con 1,4 miliardi di abitanti. Poi i casi sono aumentati un po’ alla volta, finché all’improvviso, alla fine di marzo, sono schizzati alle stelle. Il 21 aprile i nuovi contagi erano 315mila, una cifra superiore perfino al record registrato negli Stati Uniti, l’unico paese con numeri simili. La campagna vaccinale è cominciata troppo tardi per poter incidere sull’andamento del virus nelle prossime settimane.

Cosa ancora più inquietante è che in India il crescente numero di positivi non è che la punta dell’iceberg. Per gli epidemiologi, dato il basso numero di tamponi eseguiti fuori dalle grandi città, il numero reale dei casi potrebbe essere tra le dieci e le trenta volte più alto. Secondo un’indagine sierologica nazionale condotta a dicembre, il 21 per cento degli indiani aveva gli anticorpi del covid-19, mentre i dati ufficiali all’epoca indicavano che solo l’1 per cento degli indiani era stato infettato dal virus. Più di recente i giornalisti che hanno incrociato i dati degli ospedali e dei funerali con quelli forniti dal governo hanno rilevato discrepanze simili. Da un rapporto emerge che nella seconda settimana di aprile, quando le autorità di Vadodara, nel Gujarat, hanno annunciato sette decessi per covid-19, la somma delle vittime in due ospedali era già superiore a trecento.

Investimenti insufficienti

L’aumento dei casi ha avuto varie ricadute, anche sulla fiducia nel governo di Modi. Per quanta attenzione abbiano ricevuto le infrastrutture sanitarie nei sedici mesi di pandemia, questo non è bastato a recuperare decenni d’investimenti insufficienti. Nelle ultime settimane nelle grandi città e nei centri più piccoli gli ospedali erano disperatamente a corto di personale, posti letto, sacche di sangue, farmaci, ossigeno e perfino bombole per l’ossigeno. La tanto strombazzata campagna vaccinale made in India è stata un disastroso fallimento. È emerso che il governo ha sbagliato i calcoli, ha fatto ordini in ritardo, non ha finanziato a sufficienza i produttori locali e ha rifiutato senza alcuna ragione i vaccini stranieri. Così a metà aprile solo l’1,3 per cento degli indiani aveva ricevuto una seconda dose e, invece di fornire vaccini al resto del mondo, l’India ha bloccato le esportazioni.

Ancora più grave è stata l’apparente indifferenza del governo di fronte alla tragedia che si stava delineando. Anche quando le dimensioni della seconda ondata in India sono apparse evidenti, Modi e i suoi principali ministri non solo non sono riusciti a impedire, ma hanno addirittura incoraggiato enormi assembramenti di persone senza mascherine, sia ai loro raduni elettorali sia durante il Kumbh mela, una festa indù che dura un mese e attira milioni di pellegrini in una piccola cittadina sulle rive del Gange.

Ma in questo momento gli indiani sono più concentrati sulla loro disperazione che sui fallimenti del governo. “L’anno scorso poteva capitare di conoscere qualcuno che conosceva qualcuno che si era preso il covid-19”, racconta un dirigente di Mumbai. “Ora chiunque si trovi nelle vicinanze ce l’ha, l’ha appena avuto o ha un parente stretto che è morto per il virus”. Un sondaggio condotto nella capitale commerciale dell’India lo conferma: mentre la prima ondata aveva colpito in modo più grave gli slum di Mumbai, stavolta il virus colpisce pesantemente anche le aree residenziali di lusso, i centri commerciali e gli uffici. Anche da un punto di vista geografico la diffusione del virus stavolta è molto più ampia. Regioni rurali molto povere come l’est dell’Uttar Pradesh e il Bihar, che l’anno scorso se l’erano in parte cavata, oggi sono travolte. Con una densità di popolazione molto alta e un servizio sanitario in condizioni pietose, è difficile avere dati affidabili. E tuttavia, anche secondo il conteggio ufficiale il numero di persone attualmente positive in Bihar è triplicato in una settimana, passando dalle 20mila del 13 aprile alle quasi 60mila del 19.

Da sapere
Ossigeno e variante
Casi positivi e morti giornalieri per covid-19 in India. (Fonte: Our World in data)

◆ La **variante B.1.617 **del virus sars-cov-2, spesso chiamata “variante indiana”, è stata individuata per la prima volta in India a ottobre del 2020. È stata presentata come una variante con “doppia mutazione”. In realtà ha più di una decina di mutazioni (quella inglese ne ha più di venti), ma si è messo l’accento sulla doppia mutazione perché ne ha due particolarmente rilevanti (E484Q e L452R) sulla proteina spike, che il virus usa per entrare nelle cellule e infettare le persone. Le mutazioni potrebbero rendere il virus più trasmissibile. Non si sa ancora quanto la variante sia diffusa in India né se sia responsabile della nuova ondata di contagi. Né sappiamo se è davvero più infettiva, ma il fatto che sia in circolazione da ottobre fa pensare che potrebbe essere meno trasmissibile della variante inglese. Inoltre, anche se il virus mutato dovesse sfuggire alla copertura vaccinale, il vaccino potrebbe comunque dare una qualche protezione dalle forme più gravi di covid.

◆ Di fronte all’emergenza in India, vari paesi stanno correndo in soccorso di New Delhi mandando ossigeno, respiratori, tamponi e materiale protettivo. Gli Stati Uniti hanno sbloccato l’esportazione di materiali per produrre i vaccini e invieranno a New Delhi parte delle scorte di AstraZeneca destinate all’estero (60 milioni di dosi). L’Oms ha mandato 2.600 persone del suo staff per le vaccinazioni. Bbc, Nature


Se la malattia è onnipresente, altrettanto lo è la terrificante realtà dei decessi in massa. Sui social network alcune immagini stanno diventando familiari: code chilometriche di ambulanze in attesa con a bordo pazienti covid e i motori accesi per far funzionare i respiratori; sacchi per cadaveri ammucchiati negli obitori; decine di pire funebri che bruciano contemporaneamente; un uomo di mezza età steso davanti all’automobile di un operatore sanitario che implora un posto in ospedale per il padre in fin di vita; un giornalista di 65 anni che twitta le sue ultime ore mentre attende invano l’ossigeno. Il 21 aprile a causa di una perdita di ossigeno l’ospedale di Nashik, a 140 chilometri da Mumbai, ha dovuto spegnere i ventilatori per un’ora. Ventiquattro pazienti sono morti.

Com’era prevedibile, la tragedia ha scatenato il panico negli acquisti. Il prezzo sul mercato nero del Remdesivir, un farmaco ritenuto utile nei casi gravi di covid-19, pare sia aumentato da 12 a 600 dollari per dose. La gara ad accaparrarsi bombole di ossigeno per uso personale ha lasciato gli ospedali senza forniture. L’aumento della domanda di test molecolari ha provocato rallentamenti e i laboratori che prima comunicavano i risultati in poche ore adesso impiegano giorni.

La lentezza con cui Modi ha risposto a questa valanga di dolore ha lasciato perplessi perfino i suoi sostenitori. Il suo partito ha accettato di abbassare i toni della campagna elettorale nel West Bengala solo dopo che tutti i rivali avevano cancellato i comizi a causa del covid-19. Modi ha inoltre promosso personalmente il pellegrinaggio del Kumbh mela, indubbiamente un evento superdiffusore. Solo quando il capo di uno dei più importanti circoli di devoti indù è morto di covid-19 dopo l’immersione rituale nel Gange, il primo ministro ha suggerito che forse sarebbe stato meglio un pellegrinaggio simbolico.

Con molto ritardo Modi ha varato altre misure per rallentare l’epidemia. Per ovviare alla carenza di vaccini, il governo ha concesso fondi ai produttori indiani e ha liberalizzato il mercato, consentendo sia agli stati sia agli enti privati di acquistare e distribuire le scorte. Mettendo da parte l’orgoglio nazionale, ha inoltre approvato in tempi rapidi diversi vaccini stranieri. Ha dirottato la maggior quantità possibile di ossigeno verso l’uso medico, sottraendolo in parte all’aeronautica militare. Correggendo la strategia del lockdown nazionale ordinato l’anno scorso, che ha messo in ginocchio l’economia indiana, ora Modi lascia che siano i singoli stati a stabilire le norme per limitare i contagi.

Ciò detto, il governo ha avuto un anno di tempo e non è riuscito a prepararsi in modo adeguato a una seconda ondata. Dopo che il più importante produttore di vaccini al mondo, il Serum institute, a giugno aveva deciso di firmare un accordo per produrre l’AstraZeneca nei suoi impianti di Pune, molti governi stranieri avevano chiesto centinaia di milioni di dosi. Il governo indiano, invece, ha firmato il suo primo contratto con l’azienda solo lo scorso gennaio, assicurandosi appena 11 milioni di dosi. Ancora più irritante è il fatto che Modi abbia finanziato un altro produttore indiano, la Bharat Biotech, meno capace di aumentare la produzione. Ossessionato dall’atmanirbharta, l’autosufficienza nazionale, il governo indiano non ha permesso ad aziende come la Pfizer di produrre versioni locali dei loro vaccini, imponendo l’obbligo di fare le sperimentazioni cliniche in India. Così oggi l’India può inoculare solo tre milioni di dosi al giorno. Di questo passo, l’intera popolazione sarà vaccinata solo alla fine del 2022.

Il governo indiano è stato poi molto lento nel finanziare un’altra parte cruciale della lotta contro il virus, ossia il sequenziamento genetico. Con l’emergere di varianti più adattabili, è vitale capire in che modo si diffondono. Eppure solo a gennaio l’India ha cominciato a destinare una quantità sufficiente di risorse alla ricerca.

Non si sa quanto ancora potrà peggiorare l’ondata di covid-19 in India né quanto durerà. Gli storici della medicina osservano che nell’ultima grande pandemia paragonabile a quella di oggi (l’influenza spagnola di un secolo fa) l’India subì una prima ondata lieve e una seconda che causò decessi in massa. Circa un terzo dei 50 milioni di morti totali furono indiani. Purtroppo all’epoca l’India produceva dati molto più tempestivi rispetto a oggi. ◆ gim

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1407 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati