Il minari è una pianta, conosciuta anche come sedano d’acqua o prezzemolo giapponese, molto usata nella cucina coreana. Nel nuovo bel film di Lee Isaac Chung cresce nel letto di un torrente dell’Arkansas fornendo il titolo, un dettaglio importante e forse anche una metafora. Proprio come il minari, Jacob, Monica e i loro due figli sono trapiantati. Nel 1980 compiono una migrazione al contrario lasciando la California per stabilirsi nell’Arkansas rurale. Lavorano in un’azienda di allevamento di pollame, ma Jacob vuole coltivare ortaggi e verdure asiatiche per rispondere alla domanda di tanti migranti che arrivano numerosi da tutto l’estremo oriente. In parte Minari è la storia di quanto è difficile fare affari con il lavoro della terra. L’ambientazione e il ritmo hanno molto a che vedere con la vita contadina. Ma è anche la storia di una famiglia in cerca della felicità. Con l’arrivo della nonna dalla Corea il film si arricchisce di toni da dramma intergenerazionale e da commedia familiare. Succederanno molte cose, alcune prevedibili, altre meno. La trama può non sembrare originale. Ma ogni famiglia – e a dire la verità ognuno dei suoi componenti – ha i suoi ricordi e le sue esperienze. E quello che rende Minari commovente e rivelatore è la fedeltà gentile e premurosa a quei ricordi e a quelle esperienze. A.O. Scott, The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1406 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati