Il 10 aprile l’Iran aveva due occasioni per esultare. Una era la ripresa, all’inizio della settimana, dei negoziati a Vienna per ripristinare l’accordo internazionale sul nucleare iraniano, abbandonato nel 2018 dal presidente statunitense Donald Trump. L’altra era la celebrazione della giornata nazionale della tecnologia nucleare, durante la quale artisti vestiti da scienziati lodavano l’abilità scientifica iraniana vicino alle centrifughe di Natanz, un sito nella provincia di Esfahan. Le autorità intanto annunciavano di aver ricostruito la parte dell’impianto distrutta da una misteriosa esplosione l’anno scorso.

Poi, il giorno dopo, Natanz ha di nuovo smesso di funzionare. Secondo Ali Akbar Salehi, capo della commissione per l’energia atomica iraniana, l’11 aprile un “atto terroristico” ha causato un blackout nello stabilimento. C’è stata una “piccola esplosione”, ha dichiarato il portavoce della commissione. Altre notizie fanno pensare che l’esplosione sia stata in realtà piuttosto vasta, e abbia distrutto la fonte di energia che alimenta le centrifughe, i macchinari che fanno girare l’uranio per estrarre isotopi fossili adatti a essere usati nei reattori oppure, se concentrati a sufficienza, nelle bombe. I funzionari iraniani hanno accusato Israele. E, a differenza del passato, stavolta i funzionari dell’intelligence israeliana hanno subito ammesso il coinvolgimento del Mossad, i servizi segreti del paese.

Libertà di manovra

Non è ancora chiaro se si sia trattato di un attacco informatico, come quello del virus israelo-statunitense Stuxnet che distrusse alcune centrifughe un decennio fa, o di un atto di sabotaggio, che implicherebbe la presenza di esplosivi piazzati da agenti sul campo. Dato che gli impianti iraniani sono considerati “a tenuta stagna”, cioè disconnessi da internet, anche un attacco informatico probabilmente avrebbe richiesto un accesso al sito. Secondo Abas Aslani, giornalista e analista iraniano, il ministero dei servizi segreti iraniani avrebbe identificato, ma non ancora arrestato, una persona coinvolta.

Quel che è certo è che il Mossad sta mostrando una stupefacente libertà di manovra. Nel 2018 ha messo a segno un colpo rischioso sottraendo da un magazzino a Teheran migliaia di documenti sul programma nucleare iraniano. L’anno scorso è stato accusato di vari attacchi ed esplosioni contro siti missilistici e nucleari, compreso Natanz, e di due omicidi compiuti a Teheran e dintorni: ad agosto quello di Abu Muhammad al Masri, agente di Al Qaeda, e a novembre quello di Mohsen Fakhrizadeh, il più importante scienziato nucleare iraniano.

Fuori dell’Iran, Israele ha intensificato gli attacchi aerei contro le forze iraniane o appoggiate dall’Iran in Siria e più di recente in Iraq. Inoltre ha attaccato le navi iraniane per ostacolare le esportazioni di petrolio e i carichi di armi. Israele sta uscendo allo scoperto in quella che definisce la sua “campagna tra le guerre”: dopo un attacco contro una nave iraniana ormeggiata nel mar Rosso il 6 aprile, i giornalisti sono stati invitati a filmare un addestramento dell’unità d’assalto navale ritenuta responsabile dell’operazione.

Israele avrebbe avuto molti motivi per colpire di nuovo Natanz. Il 10 aprile l’Iran aveva avviato i test delle centrifughe IR-9, cinquanta volte più veloci delle obsolete IR-1, che costituiscono la gran parte della capacità di Natanz. Da gennaio l’Iran ha prodotto 55 chili di uranio arricchito al 20 per cento, facendo nove decimi di quello che serve per fabbricare un’arma atomica (il 13 aprile il governo ha avvertito che comincerà ad arricchire l’uranio al 60 per cento). L’intreccio tra più centrifughe, maggiore velocità e una riserva più sostanziosa di uranio (con una parte arricchita al 20 per cento) sta gradualmente riducendo il tempo di cui l’Iran ha bisogno per produrre la quantità di uranio altamente arricchito necessaria per una bomba, nel caso intendesse costruirla. Il regime iraniano spera di poter usare questi progressi per costringere gli Stati Uniti a rientrare nell’accordo nucleare e rimuovere le sanzioni, che hanno contribuito a far lievitare l’inflazione in Iran.

Da sapere
Reazioni opposte

◆ Tutti i mezzi d’informazione iraniani condannano l’attacco alla centrale nucleare di Natanz, ma hanno posizioni divergenti sulle conseguenze. Per i giornali più conservatori Teheran dovrebbe ritirarsi dai negoziati sul nucleare iraniano in corso a Vienna. Secondo l’agenzia di stampa Tasnim non rispondere ad attacchi del genere sarebbe una concessione agli avversari e “un segnale agli statunitensi che possono continuare a fare richieste al tavolo dei negoziati e allo stesso tempo commettere atti di terrore”. Per il quotidiano moderato Aftab-e yazd, invece, “abbandonare i negoziati non è la strada giusta”, anche perché il dialogo con le potenze straniere è “un mezzo per difendere gli interessi e la sicurezza nazionali”. Tehran Times punta il dito contro “i soliti colpevoli” e non esclude la partecipazione statunitense al sabotaggio. Secondo il quotidiano i colloqui dovrebbero proseguire, ma in un “contesto rivisto”, in cui l’Iran possa presentare un “pacchetto di politiche compatibili con i suoi interessi nazionali”.

In Israele invece molti osservatori sottolineano la concomitanza dell’attacco con le difficoltà del primo ministro Benjamin Netanyahu: “Nel momento più critico per il suo futuro politico e personale”, nota Haaretz, “Netanyahu sa di avere poco tempo” e non potendo più sfruttare la pandemia per “disegnare il quadro di un’emergenza apocalittica” ha rivolto la sua attenzione all’Iran. Il Jerusalem Post invece sottolinea che per realizzare “un vero accordo” sul nucleare iraniano, tutte le parti dovrebbero “rinunciare alle ostilità”. Secondo il quotidiano israeliano sarebbe “una formalità” per gli Stati Uniti e Israele, che non hanno “un impulso ideologico ad annientare l’Iran”, mentre implicherebbe “uno spostamento sismico per l’attuale regime” di Teheran.


Il presidente Joe Biden ha dichiarato la sua disponibilità, ma negli ultimi mesi Stati Uniti e Iran hanno entrambi chiesto che fosse l’altro a fare il primo passo. Con i negoziati a Vienna è sembrato che questo stallo fosse superato. Quello che non è chiaro è l’obiettivo d’Israele: vuole spingere l’Iran a incrementare l’attività nucleare così da convincere Biden a tirarsi indietro, o vuole rallentare l’arricchimento iraniano, attenuando la pressione su Biden per rientrare nell’accordo? L’attacco a Natanz, inoltre, si è verificato mentre il segretario della difesa statunitense, Lloyd Austin, era in Israele, nella prima visita ufficiale di un alto funzionario dell’amministrazione Biden nel paese.

Sotto pressione

La visione più cinica è che il premier israeliano Benjamin Netanyahu sia stato guidato più dalla convenienza politica che da una necessità strategica. Sono passate tre settimane dalla quarta elezione parlamentare in due anni e Netanyahu, sotto processo per corruzione e frode, non ha ancora una maggioranza per formare il nuovo governo. Mentre le trattative per creare una coalizione restano impantanate e l’opposizione freme per spodestarlo, il premier cerca di attirare potenziali alleati.

Per Amiran Levin, ex vicecapo del Mossad e 53 anni fa superiore di Neta­nyahu nelle forze armate, il premier, “sotto pressione”, sta trascinando Israele in una “attività eccessiva contro l’Iran”. Yossi Cohen, capo del Mossad, per ora sembra fedele a Netanyahu, ma ha le sue ambizioni politiche. Da più di un anno Cohen e il Mossad operano sulla base dell’idea che i leader iraniani vogliono un po’ di tregua dalle sanzioni e quindi eviteranno di far salire troppo la tensione. Teheran ha minacciato “vendetta al momento opportuno”, ma questa espressione vaga in passato si è tradotta in reazioni relativamente blande.

Per ora i funzionari iraniani hanno tentato di minimizzare l’attacco. Salehi ha dichiarato che il 12 aprile è stato attivato il sistema di alimentazione di riserva e l’arricchimento “procede a ritmo sostenuto”. Il ministro degli esteri iraniano Muhammad Javad Zarif, però, ha implicitamente ammesso che lo stabilimento è stato danneggiato. Zarif ha dichiarato che “Natanz sarà resa più forte di prima con l’uso di macchinari più avanzati” per “migliorare la nostra posizione nei negoziati”.

Allo stesso tempo la classe dirigente iraniana è impaludata nei conflitti interni. Il 21 marzo la tv di stato ha cominciato a trasmettere la seconda stagione di Gando, un thriller di spionaggio che si pensa sia prodotto con il sostegno dei Guardiani della rivoluzione islamica, l’ala oltranzista del regime. Nella serie alcuni diplomatici immaginari che ricordano molto Zarif e la sua squadra sono accusati di spionaggio. “Molti iraniani si chiederanno cosa stanno tramando i servizi di sicurezza del paese”, dice Mohammad Ali Shabani, esperto di Iran e redattore di Amwaj.media, un sito che si occupa di Medio Oriente. “Mentre Israele fa saltare in aria impianti, i Guardiani della rivoluzione commissionano film che prendono di mira il governo iraniano, con le sanzioni in vigore e nel mezzo di una terribile pandemia”. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1405 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati