Il 26 novembre l’alta corte di giustizia di Londra ha cominciato a esaminare un ricorso contro la decisione del governo britannico di vietare il gruppo Palestine action, classificato come terroristico nel luglio scorso. In seguito erano state arrestate più di duemila persone.

La decisione di mettere fuori legge la rete di attivisti britannici a favore della Palestina era stata stata giudicata “sproporzionata” dall’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e dal Consiglio d’Europa, e contestata dalle ong per i diritti umani.

Inoltre, aveva riacceso il dibattito nel Regno Unito sulla libertà d’espressione. A partire da luglio migliaia di persone hanno partecipato alle manifestazioni in varie città britanniche contro il divieto, con lo slogan: “Mi oppongo al genocidio. Sostengo Palestine action”.

Almeno 2.300 manifestanti sono stati arrestati, secondo l’associazione Defend our juries, mentre 254 persone sono state incriminate per sostegno a un’organizzazione terroristica, secondo la polizia.

In base alla legislazione antiterrorismo britannica, rischiano pene fino a sei mesi di prigione.

Huda Ammori, cofondatrice di Palestine action, aveva presentato un ricorso contro il divieto, che mette il gruppo nella stessa categoria di Al Qaeda, Hezbollah e Irish republican army (Ira).

Il 26 novembre, durante la prima udienza, il suo avvocato, Raza Husain, ha contestato il divieto, definendolo in conflitto con “una lunga tradizione di difesa della disubbidienza civile nel Regno Unito”.

In particolare, il governo è accusato di aver adottato una definizione troppo ampia di terrorismo.

Durante l’udienza decine di sostenitori del gruppo hanno sventolato bandiere palestinesi davanti al tribunale.

“Abuso di potere”

A luglio il ministero dell’interno aveva accusato Palestine action di condurre una “campagna di protesta sempre più intensa, che si è tradotta in gravi atti di vandalismo, anche contro infrastrutture di sicurezza, intimidazioni e violenze”.

“Mettere fuori legge il gruppo non è mai stato nell’interesse pubblico. È stato un puro e semplice abuso di potere il cui unico scopo è proteggere Israele, le aziende produttrici di armi che alimentano il genocidio e il governo britannico che è complice del genocidio stesso”, ha denunciato un portavoce di Defend our juries.

Palestine action si definiva sul sito web, oggi bloccato, una “rete di azione diretta impegnata a battersi contro il sostegno internazionale al regime genocida e razzista d’Israele”.

Il gruppo prendeva di mira, tra le altre cose, gli impianti delle aziende produttrici di armi, in particolare dell’israeliana Elbit Systems. Il governo laburista, guidato da Keir Starmer, l’aveva messo fuori legge dopo un’intrusione in una base dell’aeronautica militare britannica, accompagnata da atti di vandalismo.