Il 30 ottobre il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha chiesto di mettere fine “all’escalation militare in Sudan”, dopo l’uccisione di più di 460 persone in un ospedale ostetrico ad Al Fashir, una città chiave appena conquistata dai paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf).

Da quando il 26 ottobre, dopo diciotto mesi di assedio, le Rsf hanno conquistato l’ultima grande città del Darfur ancora controllata dall’esercito, si moltiplicano le notizie di uccisioni di massa, confermate dalle immagini satellitari analizzate dall’Humanitarian research lab (Hrl) dell’università di Yale.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) si è detta “sconvolta dalla notizia della tragica uccisione di più di 460 persone in un ospedale ostetrico saudita ad Al Fashir”. Secondo l’Oms, era l’unico ospedale ancora parzialmente operativo nella città.

La sera del 29 ottobre il capo delle Rsf Mohamed Hamdan Dagalo ha riconosciuto che ad Al Fashir sono stati compiuti dei massacri, annunciando l’apertura di un’inchiesta.

Con la conquista di Al Fashir, il capoluogo dello stato del Darfur Settentrionale, le Rsf controllano ora la totalità del Darfur, una vasta regione nell’ovest del Sudan.

Dato che le comunicazioni satellitari sono state interrotte – tranne che per le Rsf, che controllano la rete Starlink – e gli accessi alla città rimangono bloccati, nonostante gli appelli ad aprire dei corridoi umanitari, è molto difficile ottenere informazioni da fonti locali.

“Negli ultimi giorni più di duemila civili sono stati uccisi dalle Rsf, che hanno preso di mira anche le moschee e i volontari della Mezzaluna rossa”, ha affermato Mona Nour al Daem, responsabile degli aiuti umanitari della giunta militare, guidata da Abdel Fattah al Burhan.

La sera del 29 ottobre un gruppo di resistenza locale ha riferito di aver sentito degli spari nella parte ovest della città, “dove alcuni soldati continuano a combattere contro i paramilitari”.

Dal 26 ottobre più di 36mila persone sono riuscite a lasciare la città, dirigendosi verso i villaggi della zona o verso la città di Tawila, a 70 chilometri di distanza, che accoglie già, secondo le Nazioni Unite, più di 650mila sfollati.

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha avvertito del “rischio crescente di atrocità su base etnica”, ricordando la storia recente del Darfur, insanguinato nei primi anni duemila dai massacri commessi dalle milizie arabe janjawid, da cui hanno avuto origine le Rsf, contro le tribù locali masalit, fur e zaghawa.

Negli ultimi mesi Al Fashir è diventata uno dei principali fronti della guerra civile in corso in Sudan dall’aprile 2023 tra l’esercito e le Rsf. Il conflitto ha causato decine di migliaia di morti e circa tredici milioni di sfollati, mentre la crisi umanitaria in corso è una delle più gravi della storia recente.

Sia l’esercito sia le Rsf sono accusate di crimini di guerra per aver deliberatamente preso di mira i civili e bloccato gli aiuti umanitari.

Le Rsf controllano attualmente il Darfur e, insieme ai loro alleati, alcune zone del sud del Sudan, mentre l’esercito controlla il nord, l’est e il centro.